Quanti armatori erano amighisti?
Pochi penso, i miliardari sono troppo impegnati ad accumulare ricchezze di varia natura
per giocare ai videogiochi. Quanti amighisti erano armatori? Tutti coloro che ebbero la
fortuna di imbattersi in Ports of Call. Lungi dallessere una killer
application (per lo meno nel senso proprio del termine visto il peculiare settore su cui
il gioco andava ad impattare), il capolavoro firmato
Aegis e vidimato dai
faccioni sorridenti degli autori, Martin Ulrich e Rolf-Dieter Klein, che apparivano nella
schermata di caricamento (c’era anche James D. Sachs, grafico di Defender
of the Crown nd Postino) ha lasciato una traccia indelebile in tutti gli
early
adopter che acquistarono lAmiga nei primi mesi della sua vita. Ports of Call era
uno di quei titoli che dimostravano che con il gioiello Commodore ogni tipologia di gioco
era possibile e che con il dovuto approccio anche il titolo più noioso sulla carta poteva
diventare entusiasmante. Lo scopo del gioco era semplice ed immediato: fare soldi
comprando e vendendo merci in decine di porti di tutto il mondo.
La vita dellarmatore (nonché quella del capitano
della nave) era tuttaltro che semplice e spesso si doveva affrontare una serie di
imprevisti che sfociavano, ludicamente parlando, in sequenze “arcade” in cui il
giocatore era di volta in volta messo al timone della propria imbarcazione impegnato a
schivare iceberg, a parcheggiare al molo la propria nave a causa dello sciopero del
personale portuale e spesso a combattere con epidemie, tempeste e carichi andati a male.
Ports of Call non era particolarmente politically correct: infatti dopo i primi viaggi e
affari di piccolo cabotaggio si cominciava a trafficare in armi e merci scottanti
visitando i porti più malfamati della terra. Gli stessi venivano indicati con una
deliziosa icona mostrante il monumento simbolo della città ed un mappamondo sul quale si
disegnavano le traiettorie che la nostra carretta del mare avrebbe seguito. Lego del
videogiocatore era stimolato fantozzianamente dalla possibilità di avere un ufficio più
grande, la pianta di ficus e la poltrona in pelle umana. Le navi, da par loro, mano a mano
che si andava avanti nel gioco e si costituivano capitali di una certa importanza,
diventavano sempre più grandi e costose e più spazio significa più merce.
In pochi minuti un vortice capitalista coinvolgeva il
giocatore ed i suoi amici, visto che Ports of Call presentava una stupenda modalità a
turni cui quattro feroci capitani dindustria potevano partecipare. Molte amicizie
crollavano nel peregrinare tra un porto orientale ed uno sudamericano e le trattative tra
giocatori e col computer per ottenere il prezzo migliore per una data merce erano
estenuanti ed appaganti... Il comparto grafico di Ports of Call era entusiasmante per
lepoca (e dato il tipo di gioco): gli effetti sonori e il dettaglio delle navi
provocavano agitazioni notturne nei non possessori amighisti e occhiaie profonde a chi
cercava di dominare il gioco, di una difficoltà sicuramente superiore alla media.
Longevo, appassionante e ricco di spunti Ports of Call rimase per molti anni ineguagliato
nella sua categoria specifica e perla rara in un panorama per altro affollato di capolavori
quale era la softeca amighista. Anche la Aegis, come molte case di quel
periodo, ha ballato una sola estate: dopo il successo di Ports of Call è sparita
nellanonimato. Il gioco è invece rimasto su internet, vero cimitero degli
elefanti videoludici e luogo virtuale in cui veramente tutto è possibile. Ci sono più di
ventimila pagine dedicate a questo titolo ed anche, cosa più importante, una versione
gratuita dello stesso distribuita dagli stessi autori. Per provarlo ancora oggi e capire
che la magia non è ancora finita.

