GALS PANIC di @Luca
Abiusi
Portatore di sentimento
giapponese e ragazze giapponesi arriva nel 1990 Gals Panic, videogioco di slot
machine e quantità significative di Volfied, che era stato realizzato
dalla Taito l’anno prima come rifacimento di Qix, che era stato realizzato
dalla divisione americana della Taito nel 1981 come rifacimento elettronico del
passatempo cartaceo dei bambini “Colora il mondo con le forme geometriche”. Ma però Gals Panic
sembra che non è un gioco per bambini, sebbene è anche vero che la sala giochi
dove che potevi trovare il coin-op della Kaneko era perlopiù frequentata da
esseri umani la cui altezza media non superava il metro e quaranta. Ci sono
queste modelle digitalizzate. Che in verità non lo sono, almeno non
all’inizio. Le fotografie di lei svestita arrivano sotto forma di
tributo ultimo allo stalking del monitor messo in verticale, per favorire le
visuali di chi nelle retrovie stazionasse eventualmente a guardare. O a fare
finta di non guardare. Gli anni ’90, adesso, potevano finalmente assumere un senso.
Il marcatore compone mosaici di quadratini
con cui si deve arrivare a scoprire l’identità delle sagome di sfondo di un
80%, per sbloccare il quadro successivo ma pervengono complicanze in merito
alla superficie disegnabile. Che è grossomodo occupata da cose che si muovono.
Gli insetti rallentano la velocità delle linee, e le schegge che
attraversano determinano collisioni e reclamano vite. Ma bisogna prima
scegliere tra sei ragazze. Queste detengono tre livelli di strip. Una volta
che li hai superati arriva la performance a schermo fisso di loro prive di veli
che ammiccano verso qualcosa in più che non arriverà, che in Giappone sono
modelle di una certa fama e se la tirano. Interviene il passaggio intermedio
dove fa apparizione una slot machine che può realizzare il superbonus
ma anche il declassamento mediante decurtazione del tempo limite agli
arrivanti schermi. La sfida
resiste. E in effetti di motivi di continuazione ve ne sarebbero sei almeno.
Potevano mettere più ragazze. Ma le hanno preservate a uso del sequel.
In Gals Panic succede che l’immagine con la
donnina muti all’improvviso verso un’immagine più legale, cose di pupazzi e
rospi che siano conseguenza dell’attendismo al tratteggio, ma è situazione
comunque ribaltabile con l’inquadramento di una disposta figura di ripristino
di vaga santità, per introdurre elementi su di una struttura che già si
conosceva, eppure il videogioco della Kaneko rimane un videogioco di atmosfere
cromatiche brillanti e delirio erotico adolescente inedito. Da che
l’internet non c’era. Al massimo c’erano le riviste vietate ai minori. Le
videocassette che costavano assai. Le grafiche sono gradevoli. Seppure
queste si limitassero a figurare schermate digitali e qualche sprite
animato la trasparenza dei rossi e dei blu
in silhouette può essere opzione visuale utile a ritornare sul luogo dello
spogliarello d’alto bordo, oltre la volgarità dello strip poker e di certe
produzioni per consumo domestico da edicola su cui ci si intratteneva con la
porta chiusa a chiave. Musicalmente si resta nella media. Vi è qualche
interessante campionamento voyeur e ci sono le canzoni melodia del
puzzle game da ascoltare senza impegno, che però sono allegre e fanno del
bene. Mirabile, codesta Kaneko. Con una mano dà alla luce il notevolissimo
Air Buster, con l’altra nuovo credito all’idea dell’arcade a
sbloccaggio compartimentale che fu della Taito, riuscendo a ottenervi una
deroga sulla data di scadenza. Negli anni, Gals Panic avrebbe ripiegato verso
il disegno anime e si sarebbe evoluto. Avrebbe introdotto nuovi
sistemi di sopravvivenza al mostro e a fine Novanta dato luogo a episodi
paralleli e spinoff.
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