DUNGEON MASTER di @Andrea
Chirichelli
Dungeon Master era un gioco
incredibile: una delle prime ragioni per preferire la vita virtuale a quella reale.
Creato dall’unione delle menti della FTL e della Mirrorsoft, Dungeon
Master si propose nel 1988 con un unico obiettivo (raggiunto): azzerare la vita sociale
dei videogiocatori che avessero avuto la (s)fortuna di incrociare la sua strada
«ho la sensazione che ci siamo smarriti...è facile perdere
l’orientamento tra queste mura e cunicoli
dopo appena due giorni abbiamo già il
morale a terra
». Nato su Atari ST e approdato sull’Amiga dopo circa un
anno, il gioco rappresentava una delle prime buone ragioni per acquistarsi la famigerata
espansione di memoria, visto che senza non si poteva nemmeno cominciare (almeno nei
primi mesi, infatti il gioco era stato ottimizzato per Amiga 2000 e 500 espanso e la
versione light arrivò sul mercato dopo qualche settimana) «Brian
è stato colpito alla gamba destra
perde sangue
non riusciamo affermare
l’emorragia
le provviste stanno finendo...e l’acqua scarseggia
cosa sarà di
noi?».
Dungeon Master faceva parte di quella ristretta
categoria di giochi che non possono essere ricompresi in nessuna categoria: il
mix tra l’arcade adventure, l’rpg, il gioco di combattimento e lo strategico era
epifanicamente innovativo per il popolo dei videogiocatori. Un grande merito di
Dungeon Master fu proprio quello di permettere l’avvicinamento ai generi che del
gioco erano il nerbo, anche ai giocatori meno appassionati del genere dungeon
and dragons «oggi
Malcom ha imparato finalemente una magia curatrice e Brian sta molto meglio...più ci
addentriamo nelle viscere della terra, più i combattimenti coi mostri si fanno
duri
non avrei mai creduto che simili orrori potessero dimorare nel sottosuolo
».
Dungeon Master era un gioco tosto: mano a mano che si procedeva nel gioco
i puzzle diventavano sempre più impegnativi (alcuni erano assolutamente devastanti quanto
a complessità e sadismo dimostrato dai programmatori nel concepirli) e le battaglie
incredibilmente ostiche «un quartetto di mummie ci ha teso un
imboscata:Maria è
, non riesco a crederci...le stavo davanti ma non sono riuscito ad
evitare il colpo...abbiamo finito le scorte di cibo...questa ricerca sta
diventando un incubo
». Alcuni aspetti di Dungeon Master sono rimasti
nell’immaginario collettivo: chi mai avrebbe pensato di potersi cucinare i mostri appena
accoppati e papparseli per riacquistare le energie? Chi avrebbe osato portarsi appresso il
cadavere di un membro del party sulle spalle fino al ritrovamento di un punto di
rigenerazione? I giocatori potevano finalmente immergersi in un mondo alternativo reale e
credibile. Tutti i caposaldi del genere da Eye
of the Beholder a
Baldur’s Gate
devono qualcosa all’opera di FTL «oggi
abbiamo fatto fuori un mostro tentacolare e ce lo siamo mangiato. Carne dura ma almeno
abbiamo messo nello stomaco qualcosa. Brian porta sulle spalle il corpo di
Maria sostiene che c’è un modo per farla tornare viva...forse sta
impazzendo...o forse sto impazzendo io...».
L’atmosfera di Dungeon Master era una sorta di personaggio
a sé stante: cupa, oppressiva, terrorizzante: dietro ogni angolo si nascondeva il male,
l’insidia, l’agguato. Il fatto di poter vivere le avventure con una visuale in prima
persona rendeva nullo il confine tra personaggio controllato e giocatore controllante.
Paradossalmente l’essere chiusi in un enorme dungeon aumentava a dismisura la libertà
data al giocatore «non penso che
chi leggerà questo diario lo crederà
ma
Maria è davanti a me
viva.
Malcolm ha accidentalemente azionato una leva che ci ha aperto una porta su una stanza
segreta...c’era una strana piattaforma
ed è successo!». Dotato di una interfaccia utente che definire
user friendly è
poco, e che permetteva al giocatore di performare magie devastanti, Dungeon Master aveva
una curva d’apprendimento breve ma una longevità pressoché illimitata: c’era sempre un
nuovo tesoro da scovare, un mostro da eliminare e un passaggio segreto da scoprire. Il
gusto della ricerca era il fulcro del gioco, mentre i combattimenti, che permettevano un
notevole spessore tattico nell’approccio allo scontro, soddisfacevano la sete sanguinaria
del giocatore impegnato a fare a fette. Il sistema di “apprendimento” magico era
particolarmente curato: a fronte di una spendita di mana variabile a seconda del
“tipo” di personaggio utilizzato, il giocatore doveva combinare quattro simboli
sacri in congiunzione con le pergamene trovate nel dungeon (o semplicemente sperimentare
diverse combinazioni) fino alla sintesi di una magia performante ed efficace. La varietà
di castaggio era enorme ed il solo piacere di aumentare la propria energia magica e gli
incantesimi a propria disposizione era uno stimolo sufficiente ad applicarsi al gioco con
spirito calvinista (o trappista
de gustibus) «Maria è strana
sta bene ma continua a parlare di luci e
tunnel
ma è bello riaverla con noi
Malcolm sta apprendendo magie d’attacco di
incredibile potenza
per la prima volta sono ottimista…». Al
tempo alcune riviste, invece di “recensire” il gioco in maniera classica,
adottarono la formula del “diario di viaggio” che raccontava le gesta del
party e le disavventure e gli ostacoli che gli eroi dovevano superare: un
modo nuovo e originale per raccontare una pietra miliare del genere (e non
solo) «non ci
crederete ma...abbiamo trovato una stanza piena di tesori! Forse questa follia ha
avuto un senso
forse
».
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