SMASH T.V. di @Marco
Benoît Carbone
Smash TV parte dal
gameplay di Robotron, con la visuale dall’alto e stanze stracolme di nemici da distruggere
sparando a fuoco libero nelle otto direzioni. Ma lo fonde con una visione estetica
ispirata alla techno-violenza disponibile in giro, e fa della carneficina e della
brutalità spasmodica il suo intento primario. Interazione e figurazione tengono per mano
il giocatore e lo accompagnano in una selva di violenza massiva e incontrollata, ossessiva
e irrefrenabile. Qui la strategia consiste nell’annullare la riflessione e consumare i
riflessi nel deflagrare, diventare, essere un’arma da fuoco sopravvivendo il più a lungo
possibile. Qui le grandi arene accolgono il nuovo giocatore, si riempiono di aggressori,
accolgono armi e bonus, diventano il teatro di una sfiancante sopravvivenza a ondate e
ondate di aggressori da macellare prima che macellino. Tutto questo e altro ancora nella
prossima “puntata” di Smash TV.
La creatura sanguinosa a targa Williams è forse una delle incarnazioni più prive di
compromessi dello spirito multiforme dello shooter. Due mani, otto direzioni per muoversi
e otto per sparare. Nervi da tendere fino all’inverosimile. Ondate di carni e metalli
digitali da spazzare via fuggendo di angolo in angolo o aggredendo furiosamente con
affondi disperati. Sintetizzano bene, queste sensazioni, il feel di un giocattolo di
violenza digitale entusiasmante quanto emotivamente consumante. Tutto, in Smash TV,
consiste nel riuscire a mantenere contemporaneamente un equilibrio tra un ritmo di sparo e
movimento costante e una strategia minimale che riesca a indicare il più sicuro angolo di
fuga dal quale raggiungere indenni un angolo relativamente tranquillo. Una volta
“al
sicuro” in quell’angolo, sarà realtà il momento in cui si afferra l’arma più
potente proprio mentre stava per scomparire dallo schermo per poterne, finalmente,
esplodere ogni singolo guscio o residuo di gas combustibile contro le folle di aggressori
che ci inseguono, trasformandoci da chi resiste in chi attacca. Mai, però, dimenticare di
tenere sempre l’occhio vigile sull’esaurimento di munizioni. In Smash TV, infatti, un’arma
quasi scarica va considerata già scarica: e se i proiettili singoli dell’arma non
potenziata equivalgono quasi sempre a morte sicura entro breve, riuscire a mantenersi
sempre provvisti di armi potenti equivale a una delle milioni di vite sprecate in meno. Il
fine è il massacro. Una volta distrutto ogni residuo di carne o metallo senziente dalla
stanza, quando tutti i bonus sono stati raccolti e le quattro porte laterali non vomitano
più forme che procurano morte (ma anche versamenti infiniti nelle gettoniere in sala),
sarà tempo di passare alla stanza successiva, e così per sempre, fino a uno scontro con
un boss e un successivo conteggio dei soldi accumulati.
Il tripudio del pubblico che fischia e applaude durante le
carneficine o al momento della conta dei bonus non è solo quello che ci rende vivi, è
quello che ci ricorda che lo siamo. In genere, infatti, si continua a sparare anche da
morti: il cervello gira ancora troppo rapido. Lo schema procede per progressiva
impossibilità a resistere, con nemici sempre più ridicolmente numerosi, pattern più
difficili da prevedere, mine sul terreno meno rade. Anche le armi che compaiono per terra
sembrano più veloci a scomparire e ad esaurirsi per un cervello sottoposto a overload di
aggressione. Ben presto, resistere febbrilmente alla morte che ci colpisce da ogni dove
non è più un piacere. Deve trasformarsi in qualcosa di più: in un impeto di esasperata
e selvaggia ribellione per cui non si cercheranno più gli angoli da cui sparare e fuggire
ma, al contrario, le folle dentro alle quali farsi largo a colpi di mitra
multidirezionali, granate esplosive, lanciafiamme a gas, missili e lame protettive
rotanti, godendo di un piacere omicida destinato a durare poco se la lucidità non
richiama alla fuga entro breve da un angolo pronto a trasformarsi in una bara.
Ciò che rende Smash TV un esercizio di assuefazione allo stress da violenza inflitta e
subita, e un mostro finanziario capace di fare dilapidare decine di gettoni in pochi
minuti di stressante devastazione incontrollabile, non è però solo la grandezza e
l’estremismo del gameplay, ma anche la grossa coesione tra il progetto interattivo e le
figure e le voci che gli danno forma. Dentro alle futuribili viscere binarie del progetto
blastatorio della Williams – concepito dal genio di Mark Turmell con un certo, famoso
Tobias ad aiutare tra i crediti – ci sono immagini cinebrivido. Estetica e ambientazione
da distopia sociale. Violenza eletta a spettacolo massificato e macellazione d’evasione
per gli schermi unificati, finanziati dal dio denaro degli sponsor e commentati da
presentatori accompagnati da vallette prosperose, con premi in viaggi, videoregistratori,
tostapane e contanti assegnati ai vincitori-sopravvissuti di ogni livello. E la violenza
è di quelle da grand gourmet. Le granate assestate ai nemici li maciullano o
proiettano a pezzettoni sanguinolenti, come accade d’altro canto ai resti del giocatore
stesso quando viene investito e fatto saltare in aria, con un bulbo oculare (che sembra
aver studiato la prospettiva in verticale dall’esempio del pallone visto dall’alto). Gli
scorrimenti tra un’arena e l’altra rivelano, nascosto tra le pareti, il complesso
spettacolare degli studi che osservano, producono, montano il risultato visivo finale per
il grande pubblico della società-spettacolo. I boss di fine livello, come l’indimenticato
Mutoid Man o il presentatore-carrarmato dell’ultimo livello, sono tripudi orrorifici di
carne e metallo che urlano bestialmente, prorompono in crasse risate, perdono pezzi di
costole, cavi e sangue e vomitano scariche elettriche mentre abbandonano arti e bulbi
oculari, arrestandosi del tutto solo quando il loro collo non ospita più un testone calvo
e tumefatto ma una fontana di sangue.
Tutto il progetto Smash TV non si limita alla
violenza ludica: ricerca un’estetica techno-splatter grottesca, eccessiva e parodistica,
con il presentatore che compare per augurarci buona fortuna perché “ne avremo
bisogno”, che urla “Total Carnage” (titolo del seguito ufficiale) o che
cita per direttissima le visioni di Verhoeven, guardando le scollature delle vallette e
annunciando “I’d buy that for a dollar”. Ce n’è abbastanza, e anche di più,
per reputare Smash TV uno degli arcade più estremi mai prodotti. L’opera di Turmell
rappresenta uno dei simboli più grandi di un’epoca ormai produttivamente irreplicabile in
cui la violenza massiva digitale, con mezzi appena sufficienti, riusciva a disgustare e
sollazzare, assestando scariche di adrenalina al cervelletto e riuscendo a scambiare due
parole – poche ma buone – con la corteccia.
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