ALIEN BREED
di @Luca Abiusi

alienbreedcover2.JPG (8593 bytes)Dalle zone preliminari si estrae isolamento e orrore, angustia, datoché Alien Breed s’indentra nel cuore pulsante del videogiuoco fantascientifico per sedici bit, e diffonde presto un che di interazione per labirinti. Qualcuno o qualcosa osserva; l’astronave è un coacervo di rettangoli e rappresi loculi, chiazze umide come se di acido, schizzi di sangue; il terrore definisce lo stato dell’ansia. Per cui Alien Breed, parallelo a coin-op tipo Crack Down, vorrebbe rifare il cinema delle basi spaziali infestate, degli alieni che sbucano all’improvviso; si è appena fatto fuori un insetto gigante che dal box di un terminale ne fuoriesce un altro più feroce. Alien Breed esige: niente passatempo, scarsa abitabilità.  A differenza dei maggiori blastatori a tema della Capcom, dove procedi in orizzontale a uccidere i mostri, Alien Breed procede in otto direzioni a esasperare il gameplay.

Ma non significa che è ingovernabile. Solo, e qui Team17 fa quel che gli riesce meglio, si arriva a coesistere con determinati meccanismi portati al limite, i quali ci vedono generalmente privi munizioni, con l’energia bassa, attorniati da una diecina di bestie feroci senza vie di fuga subitamente avvistabili. Ci si abitua, per quanto ne sappiamo. L’esplorazione delle zone labirintiche aerospaziali regge lo stato della tensione, nell’atto del percorrimento trasversale, per progredire nel polpettone sci-fi di serie B degli anni ’50, dinnanzi alla necessità di allontanarsi dalle aree infestate. I programmatori fanno in modo che anche in condizioni di assoluta impasse non ci si distanzi dal videogioco e si resti ad attendere l’inesorabile con la convinzione di poter vincere sparando, quando invece bisogna scappare. E veloci. Ottimo, il Team17. Se si guarda al level design reticolare d’interconnessione fra camere e alla cosa dell’oppressione, che manco a dirlo dice di ritornare allo spazio malato di Alien Syndrome, risulta centrale l’innesco dei terminali Intex, spiraglio unico di sopravvivenza grazie a cui i protagonisti possono rifornirsi degli upgrade delle armi e degli indispensabili kit di pronto soccorso (ripristino dell’energia). I crediti utili alla spesa andranno recuperati al camminamento. Li si trova sfusi per i blocchi. La modalità per due giocatori è assolutamente consigliabile, dacché oltre a fornire una superiore mole di intrattenimento cauterizza, attraverso la variabile del co-op, il coefficiente medio di ostilità.

Alien Breed è l’esperienza immersiva. Niente a che vedere con gli action game di concezione modernista o con gli sparatutto in prima persona. Qui si tratta di muovere all’interno di un ambiente difforme, che vive attraverso il suono elettrico e dispone per la conquista dell’esplorazione, l’ossessione dei tunnel intercomunicanti. L’azione è incessante. Sa alternare momenti di attacco totale a situazioni di ansimante corsa contro il tempo. Le chiavi sembrano non bastare mai, dio stramaledica il Team17: ne largisce unità contate e posto che queste esauriscono rincara, rende le porte a prova di proiettile e dice che bisogna morire. Un difetto cui avrebbero rimediato nella successiva edizione del ’92, ma che con un minimo di elasticità mnemonica potrà essere puranche aggirato nella versione testé immessa in vena. Estetiche di consistenza, non si discute. La visuale soprelevata riesce a determinare una fantascienza metallara dal forte impatto underground, impregna di un dettaglio non raffrontabile, per i tempi, e di esperimenti cromatici che sembrano aumentare i 32 colori standard di Amiga realizzando questo display laccato, ricco di tintura. Il disegno del singolo meccanismo ferroso si fonde al cubismo generante la mappa, a voler restituire la claustrofobia, una infrastruttura visiva pesante di detriti e materia disumana. Tocco di classe: quando si spara, la luce della detonazione si riflette sul corpo. Acustica di consistenza, non ci piove. Dal marchevole tema iniziale agli effetti ingame Alien Breed reclama con una certa insistenza un impianto stereo supplementare munito di cassa del surround, per creare la diffusione a largo spettro della stereofonia e degli effetti che esplodono, i campionamenti delle raffiche dei fucili, lo stridente rantolo delle creature.

















  Piattaforma Amiga ECS / OCS
  Titolo Alien Breed
  Versione Europea
  Anno immissione 1991
  N. Giocatori 1/2
  Produttore Team17
  Sviluppatore Team17
  Designers Andreas Tadic, Peter Tuleby, Stefan Boberg, Rico Holmes, Martyn Brown
  Compositore Allister Brimble, Lynette Read
  Sito Web www.team17.com  
  Sist. di controllo Digitale- Joystick
  Numero tasti 2
  Orientamento Orizzontale - Yoko Mode
  Scrolling Multidirezionale
  Formato Floppy Disk
  Numero supporti 3
  WHDLoad Sì [link]
  Genere Survival shoot ’em up
  Rarità
  Quotazione 25 - 30 €
  OST Sì [The AMIGA Works / Allister Brimble, 2013]

 

Le differenze tra Alien Breed e Alien Breed Special Edition ’92 sono minime. A parte un leggero miglioramento nella rilevazione delle collisioni si segnala una maggiore lunghezza del ’92 (12 livelli al
posto di 6) e la presenza di password. Tuttavia queste ultime sono password parziali, perché registrano il livello senza lo status del giocatore: prima di inserire il codice si dovrà raccogliere qualche credito ed arma supplementare sui primi due quadri, pena l’inizio della partita a livelli inoltrati con zero crediti e arma di dotazione. Un consiglio spassionato è caricare un buon emulatore e di barare usando i savestates a inizio livello. Una conversione PC MS-Dos viene realizzata dalla sconosciutissima Audio Visual Magic, apparentemente senza supervisione del Team17. Difatti il videogioco risulta essere mancante sul fronte della tecnica, del gameplay, del suono. Si segnala infine una recente riedizione per iOS, Android e PS3 (nonché PS Vita) che per quanto scritta sul videogioco originale è malfunzionante sul gameplay, da che è consentito di mettere in pausa in qualsiasi momento e acquistare armi, upgrade e addirittura pagare i crediti (virtuali) con soldi reali.