| 
 CANNON-DANCER di @Luca 
Abiusi 
 Tutto 
ha inizio quando
Isuke decide di realizzare il sequel di 
Strider Hiryu. Ma con 
Mitchell, che dalla Capcom se n’era andato sbattendo la porta ma quel che è 
certo, è che la derivante nuova sinergia creativa dà luogo a una
    opera singolare, notevolissima dal punto di vista iconografico non che stimolante 
dentro al percorso
    ludico associato: come lo Strider, Osman – da titolo occidentale – opziona i salti acrobatici a mulinello, si
    arrampica sulle pareti come un ragno e quindi rimarca le tempistiche del 
combattimento stylish. In un mondo di acidità cromatiche diffuse a vista Osman edifica 
per questo una
    fantascienza concernente lo spiritualismo, a indurre una situazione di 
grande caos, votandosi ai simbolismi 
delle culture mediorientali. E una volta ancora si insinua l’allucinazione 
dei palazzi, e questa visione appartenente a un distante futuro di omologazione 
e Gestapo, che vuole le auto
    allungarsi dentro a scatole-parcheggio oblique.
    La intensificazione del ritmo, 
	occorsa come evoluzione necessaria delle arti marziali, si traduce in un 
	balzo che trasforma
    il protagonista in lama rotante. Osman è l’esaltazione della coreografia 
	volante. L’eroe
    si libra fra gli ampi spazi asserviti al level design per eseguire balletti aerei
    di letale efficacia, dimodoché il nemico diventi parte adiacente – e non 
	esterna – alla struttura del gameplay; che si tratti di produrre un attacco 
	ravvicinato o una piroetta, il volere “registico” rimane centrale, sì che il fruitore 
	viene costantemente posto all’esame delle soluzioni di attacco continuato, 
	da parete ad appiglio, a cadere sulla testa dei soldati, o quello che sono. 
	La mitica scivolata dello Strider viene riproposta con i dovuti perfezionamenti, risultando
    adesso più controllabile, e viene introdotta una devastante super mossa a spazzamento. Il
    platform è chiaramente di livello estremo. Sulle prime spiazzante, Osman 
	prosegue verso la strada della conciliazione tra azioni improvvisate e acquisizione 
	del pattern, risultando ostico ma tuttavia non
    invalicabile. Vi è il costante mutamento del ritmo; in effetti la denominazione di platform
    game sta abbastanza stretta alla opera Mitchell, vista la direzione non
    lineare e il costante multiscorrimento del visus. Seducenti i guardiani di fine livello, 
	i quali ti portano il giuoco a un meccanismo di zone sensibili da attaccare 
	con precisione chirurgica. 
    La non originale mappatura dei 
	quadri non diventa per Cannon-Dancer un limite reale, per la cosa del 
	principio di continuità col passato, e dio volendo si tratta di una naturale evoluzione dell’action 
	game che era stato della Capcom suprema di fine ’80. Si percepisce 
	allora una superiore manovrabilità, a conseguenza del sensibile incremento delle 
	mosse
    eseguibili, ma anche una maggiore 
    difficoltà generale, che si concentra sulle coreografie, e che si esaspera 
	su dinamiche evidentemente hardcore. Ma anzitutto la grafica. L’omino muove come un
    trapezista, e si anima fluente, e slitta, vola, e sferra pugni e calci, si 
	esibisce nello spettacolo delle prese volanti: lui è uno Strider. Sullo stile ci si
    potrebbe dilungare per ore, con queste
    colorazioni necrotiche-giallastre e viola viola. Visivamente, Cannon-Dancer 
	induce uno stato di ipnosi. Non
    vi è quadro in cui non si resti fulminati da qualcosa, da un passaggio strideriano 
	a mò di quando si deve
    effettuare un carpiato appena dopo la discesa, braccati da un autotreno. L’originale conduzione artistica 
	(questa sì, originale) sottolinea circostanze di creatività nel character
    design criptogay dei personaggi maschili e nelle sinuosità prominenti 
	delle attrici danzanti. Ma anzitutto il suono. Le musiche s’introducono nel 
	cerebro come iniezioni di anfetamina, per stordire e dopodiché disfarsi di 
	quel che resta delle percezioni uditive latenti. Alto videogioco senza 
	dubbio. Pressoché introvabile sotto forma di PCB, se non presso qualche 
	rivenditore specializzato di Akihabara che lo scambierà dietro acquisizione 
	di immobili e metalli preziosi, Osman è arcade essenziale. Videogioco che 
	tocca lo stato brado della poesia elettronica,
    catturando per fascino, dinamicità, e paradossi cromatici. 
  
  
 | 
 
  |