FORGOTTEN WORLDS
di @Luca Abiusi

Ah beh: lo spinner. Il controller a rotazione di 360 gradi. Ma non del genere Arkanoid. L’arnese a corredo del cabinet di Forgotten Worlds risulta sensibile alla pressione, per cui quando vi si applica gravità lo sparo è contestualmente attivato, ché con l’altra mano bisogna muovere il pupazzo. Forgotten Worlds era avanti di una ventina d’anni dacché adesso i controlli a doppia leva sono lo standard dell’interazione in HD, e si potrebbe su tutti menzionare Omega Five, che opportunamente riprende le dinamiche dell’opera Capcom realizzando le stesse funzionanti, radicali negli anni Duemila pur privi di coin-op e di rotelle analogiche, sicché il secondo stick del tre e sessanta, puntuale quanto si vuole, diventi comunque surrogato del roteame millimetrico e globale di quei tempi di strutture da manovrazione, di idee irripetibili che rendevano l’interagire a esperienza globale, momento d’assoluta sinergia tra utenze poco più che dodicenni e cabinati molto più che disadorni contenitori di duecentolire, gettoni del telefono. Forgotten Worlds è l’evoluzione direzionale di Side Arms, il quale poteva sparare a destra e a sinistra in forma dinamica e in effetti il punto di parteza è qui, nelle visuali robotiche di Side Arms, il quale era possibilmente il punto di partenza per qualcosa di più grande. Per le avventure fantascientifiche dei due eroi del postatomico, delle città ridotte a scheletri e delle macchine che prendono coscienza.

Il limite dello spostamento verso le otto direzioni del joystick è definitivamente superato. A dettar legge, adesso, non è tanto la questione dello scansamento dei materiali vomitati a direzione monitor quanto, semmai, il discorso dell’applicazione del moto di rivoluzione su sprite hardware che fino a dieci minuti prima che il titolo fuoriuscisse dal cerebro sintetico di Capcom venivano usati come oggetti d’ornamento, esoscheletri che sparano in avanti, esoscheletri che sparano all’indietro, esoscheletri. In un certo senso, Capcom sradica la profondità spaziale. I due salvatori di quel che resta dell’umano persistere tracciano il monitor in prospettiva a rendere meglio l’idea dell’inclinazione, dimodoché, simmetricamente al fascio, a roteare sia l’intera struttura anatomica. Negozio. Di tanto in tanto compare un chiosco pieno di cose. A mezzo monete del futuro – che sono blu, che si ottengono a seguito dell’annullamento dei nemici – vi si potrà estrarre l’upgrade dell’arma, armature, satelliti, fucili nuovi di fabbriche. Level design. Sì, Mondi Dimenticati, già negli anni Ottanta, trattiene a sé il plusvalore dello schema alternativo, dello sparare strano e non solo per via del controller alternativo ma anche per la disposizione dei mutanti volanti alternativi, che si apprestano pluridirezionalmente – beh sì, in accordo al roteame di cui ben sopra – ad applicare spessore e a occupare, quindi, l’area del monitor più esterna.

Grafiche importanti, che descrivono la fine. La scheda CPS scava il pixel e vi ritrova un mondo di fumi, macerie convincenti che se mai s’arrivasse al momento della disgregazione delle umanità è possibile che divenga questo lo scenario di riferimento, a parte la storia delle mutazioni, anche se poi non è detto che nel tremila non ve ne siano, di mutazioni. Lì dove vi è distruzione, Capcom mette grigiume. Laddove sussiste il macchinario, il ragno meccanico, il sole malato, l’antro al plutonio, Capcom immette colore. Ed è il contrasto tra avvenirismo e catastrofismo a generare il tipo di fantascienza giapponese che non bada a spese se al caso vi fosse da realizzare strati a pennello portanti macchine, ultramostri mitologici col cuore battente a ingranaggio, aggregazione e disfacimento di mandrie di oggetti in cartilagine e metallo che volano e puntano, cattive. Capcom immette suono. Emette un genere di colonne sonore da sottoascolto, da suzione livello quattro in modo che la potenza acustica venga fuori solo dopo un certo strato di tempo, stato di tempo. Stato del tempo. Il tempo del sound Capcom che aveva irrorato di grandezza Ghosts’n Goblins e che avrebbe cantato la bellezza di Ghouls’n Ghosts, l’anno dopo. Sua maiestate vuole che ci si prostri. E Noi lo si farebbe anche, ma vi sarebbe ancora un margine di migliorabilità della massa di gioco in fase quattro, dove la massa accorre in massa e vi è da pregare, più che da sparare. Ma poi, se fine del mondo deve essere, che venga a Noi a tal modo, implacabile e allucinata come questa Capcom che dice che l’idea dietro Arkanoid deve evolvere in un gioco di sterminio e ruggine.









 

  Piattaforma Coin-op
  Titolo Forgotten Worlds - ロストワールド - JP: Lost Worlds
  Versione World
  Anno immissione 1988
  N. Giocatori 1/2
  Produttore Capcom
  Sviluppatore Capcom
  Designers Akira Yasuda, Akira Nishitani, Noritaka Funamizu, Yoshiki Okamoto
  Compositore Tamayo Kawamoto
  Sito Web www.capcom.co.jp
  Sist. di controllo Digitale/Analogico - Joystick/Spinner
  Numero tasti 1
  Orientamento Orizzontale - Yoko Mode
  Scrolling Laterale
  Risoluzione 384 x 224
  Formato PCB - CP System
  Emulazione Completa, necessita di spinner [testato su MAME]
  Genere Shoot ’em up
  Rarità
  Quotazione 90 - 120 €
  OST Sì [Daimakaimura - G.S.M. CAPCOM 1 -, 1989, Pony Canyon]

  Forgotten Worlds (Lost Worlds in Giappone) è il primo titolo a fare uso della CP System, la scheda Capcom basata su processore MC68000. Lo stesso processore di home computers come Amiga e Atari ST, che un anno dopo l’arcade si vedono licenziate le rispettive conversioni da US Gold, la quale ne cede la programmazione ad Arc Developments. Contrariamente a un’edizione Amiga avente scorrimento in parallasse e sfondo grossomodo accostabile al coin-op, il sistema Atari manca di buona parte del fondale, benché il ritmo dell’azione si mantenga comunque accettabile. I fattori discriminanti comuni a tutti i port su personal computer riguardano il sistema di controllo, che viene deputato alla combinazione di tasto e stick, nonché il taglio di quattro livelli (sebbene sulle confezioni si riportasse la scritta "Eight Levels", di fatto la seconda metà del videogioco è assente). Su otto bit l’edizione venuta meglio è dello Spectrum. C’è lo scorrimento differenziale e gli sprites sono grossi. Discreta la versione Amstrad CPC per colore e suono, così come quella Commodore 64. Il fronte console, forte del supporto di Sega e Nec, è evidentemente privilegiato. Anche su Master System, che pure soffre di un generale flicker degli sprites e che anche manca del multiplayer, il gameplay dei precedenti è surclassato davanti ai due bottoni del controller, i quali vengono adoperati per la rotazione sinistra-destra con lo sparo automatico. La situazione migliora ulteriormente su Mega Drive (port discreto, ma hanno cambiato parte degli sfondi) e PC Engine CD (molto buono, il parallasse è assente ma colori e grafiche sono assai vicini all’arcade), che prevedono un sistema di spostamento tritasto studiato ad hoc. Nel 2005 il videogioco appare in arcade perfect sotto emulazione ibrida nella Capcom Classics Collection Vol. 1, versante PlayStation 2 e XBOX, col vantaggio del puntamento a 360 gradi deputato al secondo stick. L’anno dopo sarebbe riapparso in ugual forma su PSP (Capcom Classics Collection Remixed).