GIGANTIC ARMY
di @Luca Abiusi

Armed Seven serra seme sull’orlo e quasi rompe gli argini defluendo su tasti un tempo lucidi di lacca, ai tempi che precedettero il vischioso Full Metal Sister Marilu e il gustoso andare su e giù di Crimzon Clover, ricco rosso blending danmaku che si mette a millantare proiettili sugli attrezzi maggiori – e minori – della Cave. Ma Astro Port si guadagna la turgidezza tipica del mastro di videogioco con le deambulazioni potenti di Gigantic Army, walker tutto zincature e “tzzz, tzzz”, e razzi inferiori per sollevare le corazze in ferro ai piani superiori pieni di sorprese, mai carenti in superleghe nemiche a blindatura e in zanzarame-spia, insetti fastidiosi da puntare col cannone e annullare prima che si cominci a perdere tacche di nichel prezioso in prospettive future, dal momento che il superamento del livello ripristina giusto esigue percentuali energetiche. Gigantic Army semina seme. Sparge semi e finisce per inseminare il sottogenere del robot d’azione con spruzzi (sprazzi) di armageddon gassoso fumante di fumi tossici e agglomerati interstellari di polveri facendo leva su tecniche di confezionamento sottovuoto assai avanzate, per un gameplay che quindi mantiene costante l’indicatore della disintegrazione malgrado il ritornare, il riciclare delle sparatorie antiche del Novantadue.

Gigantic Army è un blocco di ferraglia: «cameriere, gradirei un blocco di ferraglia e del cherosene invecchiato, e visto che è qui mi porti uno di quegli infusi di pioggia acida, quelli color pece, non quelli ruggine-carbone che vendono al cybermercato 7 di Neo Berlino Est». Tutto, in Gigantic Army, è stridore di cardini d’acciaio fondente e ciminiere, tralicci e travi da mille chili saldati al cemento rinforzato a strati di zinco e piombo, bulloni grandi quanto un pallone aerostatico. «Lo avverto, il tremore delle terre, il vibrare dei pistoni dei mostri-robot più mastodontici della storia, che di similmente gigantici, frastagliati, non ne vedi neppure nei combattimenti ferro a ferro di Gundam Wing: i cavi delle giunture propagano elettrici super energie a diffusione fredda, per mantenere a temperatura i cilindri degli equilibratori frontali. E bei tempi, si, quando si assemblava i possenti mech da lavoro e la guerra era uno spettro lontano galassie, poiché fu la guerra a fare di codesti strumenti da cantiere degli strumenti da guerra a cui avvitare alabarde a medio raggio e tre moderni fucili mitragliatori, per affrontare i giganti e conquistare il futuro». Congestione. Gli operai Astro Port offrono una rilettura addiruttura apocalittica delle opere in pluridirezione della Konami di Probotector, e tendono ad assemblare, e vogliono cominciare a riscrivere il metodo di messa a bersaglio decurtando il tasto del bloccaggio, quello che in Gunstar Heroes consentiva di sparare e direzionare da fermi.

Gigantic Army è uno shooter dal frastuono pesante. Un’onda d’urto che investe e fa rumore di scheggia di metallo infuocato a meteorite, criptonite, consistenze ferrose, quintessenze granulose e odore di zolfo, di fumaiolo all’ossido di azoto, azoto liquido, acciaio che fonde nelle presse, bestioni che schiacciano e spaccano. Lo scudo. Lo si fa roteare – lo si configuri su di uno degli shift, in caso si usasse uno di questi joypad moderni – ed è come di roccia tra i raggi beta che scavano anche il catrame rinforzato dei palazzi dell’anno 3000. Ma non lo scudo. Che resiste a tutto ma che bisogna imparare a mettere in posizione diagonale o verticale, quando serve, col tempismo di chi ha già veleggiato tra le acque burrascose dei migliori Metal Slug, coi proiettili che fanno zig e poi zag e che mica stanno a guardare se sei pronto, se la tua cena è pronta e hai dovuto per un attimo perdere di vista la fine del mondo tuttora in pieno svolgimento sul monitor. Gigantic Army è un fatto serio. Continue ridotte al minimo e dissoluzione arcade da coin-op Capcom munito di slittata à la Strider Hiryu, mossa clamorosamente utile quando non resta che un quarto di minuto all’esaurirsi del countdown e vi è urgenza di acquisire l’apposito box del tempo aggiuntivo. Persiste quindi una struttura sonora di boati e rombi e rimbombi che incastrano trucidi una sinfonia di musiche metallare a impulsi di bit, e si realizza concreta, ancora, la convinzione di manipolare un videogioco dal peso specifico impensabile pur addentro il suo ristretto mercato doujin. Astro Port ha comunque considerato la via del pay-to-play sui principali canali di digital delivery e bisogna apprezzare, benché la cover della copia fisica dica a gran voce «comprami, comprami».









  Piattaforma Windows PC
  Titolo Gigantic Army
  Versione Giapponese
  Anno immissione 2010
  N. Giocatori 1
  Produttore Astro Port
  Sviluppatore Astro Port
  Designers ...?
  Compositore ...?
  Sito Web www.interq.or.jp/saturn/takuhama/dhc.html
  Sist. di controllo Analogico - Joypad
  Numero tasti 4
  Orientamento Orizzontale
  Scrolling Multidirezionale
  Formato CD-Rom
  Numero supporti 1
  Compatibilità Windows 2000/XP/Vista/7
  Requisiti tecnici Pentium 4 1.4GHz, 256MB Ram, Scheda grafica Radeon Geforce, DirectX 8
  Genere Platform / Shooter
  Rarità
  Quotazione 20 €
  OST No

 

Con già all’attivo pezzi interessanti come Armed Seven, Vulkaiser, Witch-Bot Meglilo e Satazius, Astro Port guadagna stima nel sottobosco doujin per il suo stile bidimensionale che accosta i coin-op della Konami degli anni ’80. La software house ha di recente realizzato Steel Strider, che di Gigantic Army può considerarsi il sequel.