PlayStation 
aveva largamente vinto la guerra per la supremazia geografica delle console ma 
ciononostante 
poi lo stravangante Elan Doree se lo
    doveva dimenticare da com’era minimizzata dal suo basso coefficiente di 
estrazione da ST-V, la
    scheda arcade multiprocessore che assicurò al Saturn – che ne era derivazione 
– una schiera
    di esclusive di qualità tecnica generalmente otto su dieci di media. 
Cotton 2 & Boomerang, 
Radiant
    Silvergun, Prikura Daisakusen e 
Soukyugurentai, per menzionarne alcuni,
    avrebbero reso il pensionamento del trentadue bit meno traumatico verso la fine degli
    anni Novanta sebbene nessuno di questi giochi avrebbe varcato il mare; la 
sconosciutissima Sai-Mate, con Touryuu Densetsu Elan Doree, si garantiva 
quantomeno la striscia di udienza hardcore
    che ancora si faceva attirare dalle release arcade – che erano in diminuzione costante, ma in misura
    meno drastica in Giappone – e che si appassionava ancora di beat ’em up 
a incontri malgrado il retrocesso interesse verso l’istituzione del 
combattimento tipo Street Fighter a ragione degli exploit tridimensionali di 
Tekken 3. Eppure Elan Doree regala un genere di 
spada contro spada non convenzionale con tutti i suoi dragoni e i poligoni in shading.
    Dieci è il numero vincente. Anche sette, ma 
	dieci anche. Che poi ne metti trenta e li
    fai tutti uguali, e non serve. Sai-Mate si concentra su dieci personaggi per 
	trasfondere in
    loro uno statuto di unicità e farli apparire disgregati dai soggetti stilistici
    capcomiani; si tratta di cavalcare creature alate squamose. Si tratta di domare e
    dominare il drago. Non daremo addosso alla softco nipponica per il solo fatto d’aver economizzato sul numero delle mosse, che non dovevano esser 
	troppe in virtù dello stile del duello, diremmo, e anzi ci predisporremo 
	benevoli verso questo Panzer Dragoon 
	Arcade Edition perché sa diventare grezzo. Il sistema funziona. Marielle tira di spada su quattro direzioni più una e sferra
    hit da cinque e più colpi, come gli altri del gruppo invero, e nonostante i due 
	unici
    tasti di attacco è fattibile conseguire movenze e super di una certa 
	violenza
    alternando e combinando questi coi pulsanti delegati al dash e al salto. L’invenzione non manca, sicché 
	lo schieramento di eroi manga possiede facoltà offensive ravvicinate e a
    distanza capaci di estetizzare (estremizzare) il combattimento e di portarlo su formazioni più
    istintive che tecniche. Tuttavia, acquisiti i principi di base dell’intero roster, è
    lapalissiano come i programmatori abbiano provato a rendere distinguibili i 
	metodi di offesa, che alla prova sul campo si realizzano evidentemente originali pure all’interno del cliché
    otaku-wapanese cui Sai-Mate si attiene per ingraziarsi i potenziali cosplayer. Elan Doree è
    videogioco di genere con la predisposizione all’anomalia.
    Il nemico subisce disarcionamento ma non 
	solo: una volta al suolo è possibile infierirvi rapidamente lanciandogli 
	appresso un fascio magico automatico. Le super mosse vanno razionate. Non esiste che si
    stia lì fermi a stampare fulmini di Zeus e diavolerie nell’attesa che l’opponente soccomba 
	vistoché una barra SP interviene a svuotarsi per l’occasione come a 
	reintegrarsi –
    fino a tre volte – durante la malmenanza ordinaria. Un videogioco discreto, 
	codesto di
    Sai-Mate, che nel single player tende a definire ripetizione 
	esauritasi la gioia di volare nell’aere, ma che nel versus ha un suo perché nel frullatore
    arcade fantasy di mosse risolutive e risoluti eroi ma si poteva far 
	di meglio nel compartimento opzioni. Avvengono arcade, versus e survival 
	– non vi
    è dunque uno story mode – che guai non ci fossero stati e dal menu interno è
    giusto possibile selezionare la versione alternativa del soundtrack. 
	Chiaramente importanti le grafiche. Il nucleo ST-V del Saturn sposta creature rivestite di 
	tessuti molto lucidi e
    molto saturi, anima blocchi poligonali a più di trenta fotogrammi al secondo 
	disinvolto, produce trasparenze raramente osservate pure nei titoli d’alta 
	risonanza e di griffe Sega – vedi Virtual On, vedi 
	Virtua Fighter 2,
    vedi Burning Rangers – e concretizza un 
	effetto di zooming che neanche SNK dei tempi
    migliori mentre intanto riproduce uno sfondo in bidimensione statico epperò sistemato in prospettiva per non 
	andare incontro all’antiestetico effetto di stranietà al segmento visuale 
	primario. Ci sono i suoni avventurosi. Questi risultano buoni a introdurre 
	gli oggetti luminescenti e si ascoltano volentieri, gli altri suoni arrivanti 
	pieni di evasioni fantasiose à la Lodoss War, per dare l’idea, col remissaggio risultante 
	parzialmente superiore agli 
	originali estratti. Il campionamento è filamentoso. Le voci danno coscienza 
	ai guerrieri che volano.
    
	
	