YOSHI’S ISLAND
di @Luca Abiusi

Accentuano i dintorni di un disegno di tinture minimali loro, che di fanciullesche elaborazioni nintendare abbastanza disuguali dai Super Marii World & Bros, Donkey Kong Country, non avevano prima di allora osato neppure pensarne onde non incorrere in sanzioni amministrative commutabili a licenziamento, seppuku, licenziamento con seppuku loro ch’erano stati educati a una dimensione regolare “post-otto bit” che non doveva risultare troppo diversa dalla unidimensione degli otto, ché tanto i videogiochi prodotti da Nintendo erano in larga porzione fatti apposta per i nintendari, e quindi per gli stupidi ma c’è qualcosa di più in Yoshi’s Island, la maturità della rappresentazione epocale sicuramente, una patologia di scenari predisposti alla trasmigrazione, la divagazione ardimentosa degli schemi del videogioco al salto, condizione raramente vista su console se si esclude un qualche precedente livello di un qualche Sonic nel quale ciò ch’è giusto si osava, e d’ogni modo nell’isola di Yoshi si marca il territorio dell’opera indiscutibile che istantaneamente intercede al nuovo platformismo a interpolazione di colori e fondali in Mode7, parallasse surreale fotostatico, storyboard volutamente irregolare che va assai oltre i sigilli dell’hardware, assai oltre le frontiere della pop-art.       

Scolpiti nel legno della multiprogressione e disallineati, i luoghi di Yoshi’s Island dichiarano di non voler essere troppo infanti malgrado il bambino protagonista e il rotondume, ed elemento alcuno dovrà turbare il deflusso di gameplay anche volendo: la fantasiosa struttura del programma scava il bordo interiore ed è fastidiosamente esatta quando s’inventa videogioco complessivo per il conoscitore o l’incursore allergico gli schermi bonus, colui che s’attacca al cliché dello spastobimbo Mattel che si finisce quadri in apnea pur senza sapere che il giuoco dura più di un monolite in ogni caso, fermo rimanendo che le deviazioni debbono esser prese con tutto l’esercito degli oggetti poiché altrimenti il garbuglio di lande e pixel se la prende e ti butta fuori trallallero trallallà, a raccogliere i fiori, e questo è quanto. I fatti estrenei alla realtà pigiano felicemente i pulsanti del joypad, spaziano a rimembrare i platform della scuola arcade, quelli pressoché impossibili alla Rastan Saga come spauracchi di un genere sorpassato, ché Miyamoto è un bambino che porta avanti l’idea esemplificata del saltare e raccogliere, e questa ridistribuzione del materiale bidimensionale, quasi ellittica, a voler riempire statisticamente gli spazi di interazione rivela all’astante un’idea di gameplay che sa di focolare, fiaba a lieto fine, presidio fugace dell’infanzia. Yoshi’s Island dà prova dell’esistenza di un substrato onirico dal quale è fattibile estrarre materie prime e colori nemmai visti, o semmai ipotizzati nella nebbia di un impossibile sognamento di mezzo inverno.

Nintendo determina. È marchiano il suo creare automatismi estrosi da «se vuoi il giocattolo vieni a prendertelo» per fare da saltimbanco del dislivello in ricerca di nicchie e triangoli e in veste di allenatore di Yoshi. Ritmicamente pensando Yoshi’s Island è qualcosa di molto simile a un cronometro: spacca il secondo. Ci si immola negli acquerelli in Super FX2 – avanzato chip custom stipato nella cartuccia – a slinguazzatura dei nemici, che vengono ingeriti e trasformati in uova inseguenti da usare come arma di supporto, e non vi è il rischio di stizzirsi per una vita perduta o un qualche manovramento maldestro giacché le circostanze di gioco sembrano assolte in anticipo allo spettro della frustrazione. Non si muore subito: salvi i casi di accidentali schianti, una bolla galleggiante preserva baby Mario per il tempo occorrente a farsi recuperare dallo Yoshi. Ondulazione. Ondeggia tutto in Yoshi’s Island, compresi i guardiani-scarabocchio alti quarantasei pixel, incubi preadolescenziali di un adolescente di nome Miyamoto che ordina effetti speciali come lo zooming, il morphing, lo scaling e che introduce il poligono pieno per vedere di scostare il disegno dall’essenziale incollatura di pixel ed elevarlo a concetto estetico vivente, a forme bidimensionali che ridefiniscano il silicon graphic di Donkey Kong Country verso mistioni neutralizzate, mancanti di pre-rendering e dell’artefatto del ray-tracing. Il trionfo esteriore e teorico di Yoshi’s Island si realizza nel perseguimento di un nuovo elementarismo visuale come attraverso il parziale disfacimento delle esistenti tecniche di scrittura. L’innovazione dei super microprocessori grafici, nello specifico, è resa al servizio del nudo design









  Piattaforma Super Nes
  Titolo Yoshi’s Island - スーパーマリオ ヨッシーアイランド Yossi Island - [....]
  Versione Giapponese
  Anno immissione 1995
  N. Giocatori 1
  Produttore Nintendo
  Sviluppatore Nintendo
  Designers Shigeru Miyamoto, Takashi Tezuka, Toshihiko Nakago, Shigefumi Hino, Hideki Konno
  Compositore Koji Kondo
  Sito Web www.nintendo.com
  Sist. di controllo Digitale - Joypad
  Numero tasti 4
  Orientamento Orizzontale
  Scrolling Multidirezionale
  Formato Cartuccia
  Numero supporti 1
  Compatibilità NTSC-J [] NTSC-U/C [No] PAL [No]
  Genere Platform
  Rarità
  Quotazione 25 €
  OST Sì [Super Mario Yoshi Island Original Sound Version, 1995, Polystar]

 

Nel settembre del 2002 Nintendo dà alla luce Yoshi’s Island: Super Mario Advance 3. Sebbene non sia errato considerare il videogioco portatile come diretta trasposizione di Yoshi’s Island, questi introdurrà alcuni livelli inediti e una modalità multiplayer per quattro partecipanti da consumarsi in Mario Bros., che viene inserito quale contenuto bonus. Si rileva il taglio verticale della finestra grafica del Super Nes, fatto che a ogni modo non compromette il gameplay. La stessa edizione Advance verrà ripubblicata in forma di download digitale per Nintendo 3DS e Wii U.