ZAK McKRACKEN and the Alien Mindbenders
di @Luca Abiusi

Zak McKracken è un giornalista del National Inquisitor, testata scandalistica con sede a San Francisco. Gli verrà chiesto di indagare su questi strani avvenimenti di fantascienza sul genere di incontri ravvicinati nei pressi del campeggio di Seattle, e doveva per forza andarci, poiché non vi era altro modo per dar luogo all’avventura surreale di David Fox e quindi della Lucasfilm dei dialoghi non possibili, gli enigmi non pensabili. Zak McKracken diverrà il volteggio degli eccessi delle parole; la mistura sintattica si impianta al cranio delle gioventù anni Ottanta come il tarlo fa col legno, poiché di attigua consistenza doveva essere l’intuito del ragazzetto che ascolta cose come Kenny Loggins. Eppure, e a dispetto dei riflussi e delle dottrine di un decennio che voleva che la scrittura bruciasse al sacrifizio della prosa, il titolo parla della evoluzione del videogioco e dei suoi testi; l’attore si rimette al racconto. Il riporto direzionale, l’appiglio cui issarsi per almeno ottenere il rendiconto dell’immagine è scartavetrato in favore della lettura irriverente, in modo che anche gli estimatori della struttura testuale potessero esserne piegati. 

Si è in priorità di stare dietro l’indizio, ma però senza farne un atto di urgenza, ché la condizione di stallo è la costante da mettere a complemento del castello delle opzioni derivanti lo SCUMM, presto a schermo, fino a strisciare col mouse e realizzare il senso dello humor e il nonsense alieno della sequenza di culto, come quando si indossa gli occhiali di Groucho Marx a elusione degli extraterrestri, o come quando si deve assemblare tute da astronauta con una muta da sub e una brocca per pesci; dentro il paradosso di una sceneggiatura di mirabile ostruzione si dovrà grossomodo diventare gli oggetti spaesati (nonché centrali) della graphic novel di interazione, che se si vuole è la traccia a spostamento del cursore che la storia avrebbe poi accostato alla deriva del punta e clicca. La filosofia dell’ispezione maniacale prenderà il sopravvento sulla volontà, in verità assai latente, di abbandonarsi a cercare sul web su una qualche soluzione guidata. Non sia mai. «L’impegno usa premiare», dice Fox, e la chiave per la prosecuzione potrà (dovrà) essere raccolta anche sulla via incidentale, dopoché ogni singolo percorso di risoluzione sia stato battuto e allorché il tentativo di dare un senso al racconto abbia istruita la facoltà del contrappasso. E comunque, se il videogioco è d’uso spacciare il garbuglio degli eventi fuori dell’impianto della logicità, la sua infrastruttura di comandi mirati e semplici, di azioni eseguibili manovrando d’istinto, crea la trasformazione del gesto meno gravosa di quanto parrebbe se giusto intrisa delle complicanze concettuali fornite allegate le avventure della Sierra, che anche erano graziate dai testi di Roberta Williams.

Fase due: il pennello. Si colora in calco di pennarelli a evidenziatore per meglio definire il tratto allungato, lo sfondo di marcatura della prospettiva, e l’animazione essenziale degli ambienti a otto bit – il titolo è port diretto da Commodore 64 – non collide l’artefazione e anzi completa le stringature del tratto fumettista che vuole continuare gli stili e il character design di Maniac Mansion. La tecnica è brillante. Si agisce di scrolling e schermi di assoluta accordanza alle sovraimpresse parole perché sia in prominenza di quanto interessanti possono realizzarsi pure le figure di comparsa, entro il quartiere della sottile ironia disposto da Ron Gilbert per altruismo, quand’anche in camera di regia si prefigurasse già dall’intro di dovere deviare per ragione di continuità sul terreno del divertimento indotto, della balla spaziale da poter scagliare in contro gli stereotipi dell’intrattenimento serioso delle pubblicità, dove grazie alle tastiere bianche e al mouse il genitore si sentisse in obbligo di concessione, poiché «col computer si può studiare». La portanza (la rilevanza) che un qualcosa come Zak McKracken può comportare rispetto a una generazione giovanile che in fondo non chiedeva altro che d’essere svezzata, di evolvere oltre l’inconsistenza della cultura del consumismo e del conformismo, induce a credere che il suo apporto formativo il videogioco Lucasfilm dovesse averlo imbastito, e che probabilmente senza questo gruppo di pionieri, di scrittori e disegnatori bohémien lo scavalcamento dell’idea comune del giochino elettronico non si sarebbe affermato, negli anni a seguire. O comunque, non come si è infine assunto sul luogo dell’arte contemporanea.










  Piattaforma Amiga OCS
  Titolo Zak McKracken and the Alien Mindbenders
  Versione Italiana
  Anno immissione 1988
  N. Giocatori 1
  Produttore Lucasfilm / Leader
  Sviluppatore Lucasfilm
  Designers Aric Wilmunder, Edward Kilham, Steve Hales, Basilio Amaro, Gary Winnick [....]
  Compositori Brian Hales, Matthew Kane
  Sito Web www.lucasarts.com
  Sist. di controllo Analogico - Mouse
  Numero tasti 1
  Orientamento Orizzontale
  Scrolling Laterale
  Formato Floppy Disk
  Numero supporti 2
  WHDLoad Sì [link]
  Genere Adventure
  Rarità
  Quotazione 120 - 150 €
  OST No

 

Il programma viene sintetizzato sul Commodore 64 e quindi reso più o meno velocemente a computer di superiore voltaggio come Amiga e Atari ST, dove si consegue uno Zak McKracken di colorazione più estesa. Il port MS-Dos è baldanzoso in EGA. La versione FM Towns, realizzata dalla stessa Fujitsu, fa uso di 256 colori e possiede una colonna sonora di qualità CD. Un tentativo di trasferimento su Apple IIGS apparve in essere verso il ’90, ma comunque la conversione non verrà mai ultimata.