| CONTINENTAL CIRCUSdi @Luca 
Abiusi
 
 Seguendo gli insegnamenti di 
Pole Position (Namco,
    1982, voto sette) Taito sviluppa un arcade capace di 
valorizzare quei nuovi hardware a multiprocessore su base MC68000 che già 
avevano generato videogiochi come 
OutRun. Ma Taito si guarda anche bene
    dall’eguagliare le tecniche del mostro sacro di Suzuki, ché non era il caso, pur mettendo
    in luce un discreto talento per i titoli corsistici; Continental Circus è
    racing game settoriale dedicato alla Formula 1 che quindi evita il diretto
    raffronto col prototipo dell’automobilistico per sale realizzando la necessità del pit
    stop, mirando ai guasti superficiali visibili, restituendo la 
tortuosità del tracciato a rendere la corsa realmente accostabile al Gran 
Premio, sebbene l’idea
    corsista e spericolata di un arcade sia ancora latente intorno a certi 
dettagli, come per la sequenza dell’esplosione della monoposto di seguito a uno scontro, con 
il fuoco che l’avvolge completamente, a non
    lasciare al pilota digitale alcuna via di scampo. Una cosa come un’altra 
fino ai primi ’90, ma
    un fatto che scatenerebbe l’orrore dei correnti automobilisti virtuali, 
obnubilati dalle carrozzerie smaltate di Gran Turismo. La velocità di scorrimento elevatissima e derive dinamiche
    annesse determinano un gameplay che si piega assoluto al sistema di controllo. La vettura
    tende a reagire alla minima rotazione del volante in funzione del sorpasso ad alta
    velocità, per quanto in curva sia opportuno considerare l’utilizzo del freno o anche
    operare una semplice decelerazione mollando il gas di getto; la struttura tortuosa delle
    piste richiede a ogni modo una sessione di warm up specifica, per prendere confidenza con
    la meccanica di sterzata, nonché coniugare lo scalo di marcia ai tempi della staccata. E
    per essere un videogioco a grafiche in 2D scalari, non possiamo che 
	evidenziare questo suo discreto livello di verosimiglianza, malgrado l’occorsa semplificazione della
    fisica comportamentale, che tuttavia non va a incidere sul coefficiente di 
	difficoltà di graduale assimilazione dei percorsi, che una volta affrontati 
	diventano
    sempre più accessibili con tutti gli apici di accelerazione raggiunti, per cui riteniamo
    che l’ultimazione non sia un tabù, e questo è un dato cruciale tenuto conto del periodo
    in cui il corsista viene introdotto in sala. Sul discorso delle estetiche, Continental Circus 
	rivela questi elementi paesaggistici piuttosto rifiniti che sovrappongono in 
	parallasse allo scrolling delle piste, per cui si crea quest’effetto scaling di
    lustrabilità sull’aggiornamento di gran fluidezza, che viaggia come a una
    scheggia con la marcia più alta, sicché il vettore definisce il particolare degli chassis
    posteriori e un bordo pista ricco di strutture quali sono i cartelloni, gli
    spettatori, i segnali stradali di percorso; la disintegrazione progressiva delle monoposto 
	viene riprodotta con indubitabile classe, dove che la macchina inizia a 
	emettere fumo e a incendiarsi in funzione dell’intercorso tamponamento, per 
	quindi deflagrare nelle collisioni a forte velocità. Ci sta la variazione 
	meterelogica dell’effetto pioggia. Che poi ha riscontro effettivo nel 
	rendere l’episodio dell’aquaplaning e il gameplay ancora più plastico, 
	durante l’atto di conquista delle prime posizioni, nonostante
    questa impostazione antisimulativa di fondo che chiaramente non tiene conto delle 
	variabili strategiche della disciplina. Il suono avrebbe meritato un 
	campionamento migliore. In fase di sgommata si sente uno stridore anomalo ma 
	però il motore fa brum brum, ed è ben reso. 
	Continental
    Circus vale. È di sicuro tra i coin-op meglio
    riusciti di metà Ottanta nonché, ancora oggi, un mirabile esempio di riproduzione arcade
    della Formula 1.  
 
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