OUTRUN di @Luca
Abiusi
“La macchina da corsa perfetta è quella che si rompe appena dopo il
traguardo”...Enzo Ferrari
La
visione dell’aspirante automobilista, l’illusione di poter vivere felici e
veloci in vacanza accostando Orange County e le sue spiagge: il cabinato originale di OutRun
introduce un volante con force feedback – il primo coin-op a farne
uso – che vibra contestualmente all’urto o all’uscita di strada, per ottenere
completa la restituzione del racing game. Ne fanno
ancora uscire una alternativa sit-down montante abitacolo, postazione
in pelle e display sensibilmente più esteso che qui in Italia diventa luogo di
culto quando neppure si
aveva idea di cosa fosse un coin-op vero e comunque, a dispetto delle
dimensioni, è grazie a questo cabinet di lusso che OutRun può esporsi al centro
della cultura arcade ancor prima di essere consumato. Per
una volta, il gioco automobilistico fa tendenza, si traina lo stile corsista dei
super vettori e rimira dritto l’utopia ferrarista del minorenne con la
cintura di El Charro: Sega (Yu Suzuki) vuol ridefinire il genere a
partire dalle icone del consumismo. Quindi opta per il lusso, il rosso.
Grafiche velocissime, un suono esaltante (Hiroshi
Kawaguchi), gameplay sovraesposto: OutRun è libero,
sconfinato ancora agli inizi del Novanta quando lo si avvista al fianco di
arcade di nuova concezione che evidentemente non possono reggere il carisma
dell’opera
di Suzuki; dal 1986 in poi, fino alla fine del tempo, OutRun sarà figura madre del
videogioco di
guida arcade, il genere di corsista da consumarsi a oltranza dove si è
splendidi, vento tra i capelli e la biondona coppa-c, con l’arroganza tipica dello yuppie anni 80 che vuole arrivare, ma arrivare non si sa dove
e
limportante è che si arrivi. Allora guidi. A tutto gas ignorante devi sterzare
per provare di evitare un tir o un maggiolino che incrocia davanti e che stringe contro
il cartellone del secondo bivio in zona superstrada. Prossimi al dosso la
situazione accade non sostenibile poiché non sai se vi sarà dopo una curva
verso destra o verso manca il
freno andrebbe usato. Ma non si deve abusarne. Il tamponamento sottrae al
gameplay due secondi se va bene, e alcune curve possono essere inoltrate al massimo della velocità
senza correre eccessivi rischi fino al traguardo, nel momento in cui la
Ferrari Testarossa cade in pezzi e folle esultanti ti innalzano a sommo
imperatore del classismo. Ma ci vuole il manubrio. Ché poi, col joypad in
mano e su mame, vengono a dirci che il tempo passa anche per OutRun.
Impudenti.
Il motore bidimensionale di OutRun è, di fatto, l’apice delle tecnologie a coin-op del periodo. La sensazione di fluidità e dinamismo
oltrepassa i limiti del video, scheggia la vista in un brivido di derapage e
orizzonti infiniti dai quali si vede il paesaggio che vien dopo, al tramonto, infilando
strettoie di rocce a duecento all’ora, col dettaglio di bordo pista mostrante tabelloni,
case, strutture balneari e quant’altro in grado di trasfondere emozioni scapestrate
del tipo oggi prendo l’auto e parto, ma non so quando o se ritorno. Funzionante il
metodo di sterzata progressiva, puntuale in aggiustamento dà licenza di
accelerare finché
è dovuto, verso i bivi, la folgorante intuizione che taglia la partita in modifica del
track design conseguente, sicché l’atto del diramare divenga motivo di trasformazione,
urgenza di ridefinizione delle tecniche di sorpasso nonché dei tempi del trapasso, di
schianto sulle rocce di un Grand Canyon il cui imbocco s’era in precedenza ignorato in
favore del quadro coi mulini, quello dove ci stanno i prati in fiore e il cielo è sempre
più blu. OutRun, il videogioco più influente della Sega
e ancora
Magical Sound Shower, IL sound arcade della Sega, corrono paralleli verso la storia in
plasmatura di uno stuolo di ragazzini che prima dell’Ottantasei risulta
inabile a identificare il
delirio della velocità in super scaler, quell’effetto in bitmap che è un po’
zoom, un po’ aggiornamento a doppio processore, un po’ fantascienza agli occhi di codesti
possessori medi di Commodore 64 che è già tanto se possono permettersi di giocare alla
conversione di
Buggy Boy, che era
comunque riuscita piuttosto bene. Rivoluzione. Per mezzo di questa rivoluzionaria scheda che si divorava gli sprite hardware manco fossero
pixel a quattro bit e attraverso la messa in opera di Yu Suzuki, fuoriuscito appena dalla
facoltà di Scienze Elettroniche di Okayama, OutRun sovrascrive sul videogioco che (era)
stato e passa allo stadio successivo dell’intrattenimento arcade.


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