| RAIDEN FIGHTERSdi @Luca 
Abiusi
  «Qui Raiden MkII, matricola 7964. 
	Riferisco situazione: dodici caccia bombardieri sorvolano la costa a sud 
	ovest dell’avamposto sette. La zona urbana è quasi totalmente compromessa. 
	Quattro portaerei risultano ancora
    attive sul fronte settentrionale. Necessito immediati rinforzi e 
rifornimento
    carburante. Centrale qui matricola 7964, mi sentite? Centrale ho problemi di ricezione,
    temo che la radio di bordo sia stata danneggiata dal recente attacco. Se mi ricevete
    richiedo immediati rinforzi sul versante..brzzzzz....Matricola 7964 qui centrale, 
	il radar di bordo non rileva la tua posizione, prego fornirci coordinate per
    provvedere a supporto aereo di copertura. Qui matricola 7964, posizione 27 gradi nord,
    latitudine 34 dell’emisfezzzbrrrrrzzzz..ca, variabilzzzzbrrrrr. Qui centale, matricola
    7964 disturbi nella frequenza, diminuisci quota, è probabile zona minatzzzbrrrr, disturbi
    la ricezbrrrrrrr....Centrale centrale, qui matricola 7964, maledizione ho perso il motore
    di destra, non riesco a controllare il vettbrrrzzz di sizzz..stra, central zzzbrrrr..,
    KABOOOOM...brrr, zzzzzzbbrrrzz...zz..zz...» Nel 1996 
	Seibu Kaihatsu è al lavoro su di 
	uno sparatutto a orientamento verticale a cui s’era dato il nome di 
	Gun Dogs. 
	In corso d’opera, e per ottenere una spinta distributiva più rilevante, si decise di 
	ripiegare sul blasone (e sul nome) della saga dei Raiden. Pertanto il 
	videogioco divenne Raiden
    Fighters, non proprio il sequel di 
	Raiden DX quanto 
	piuttosto uno spinoff dove tutto dovesse rimandare ai fasti della serie 
	regolare, e quindi a Raiden II. Ma sempre con un sistema di armamento 
	evoluto, con un più vasto numero di velivoli opzionabili e a mezzo di una 
	scheda bidimensionale munita di overclock. Ci sono questi sette bolidi del 
	cielo pieni di razzi. Raiden
    MKII e il Judge Spear sono gli aerei delle fasi 
	iniziali, buoni per un pubblico di novizi ma anche efficienti per i restanti 
	piloti professionisti da che realizzano la caratteristica di montare tanto il laser che i missili
    dello sparo standard; i rimanenti caccia dovranno contentarsi del singolo 
	tracciante, ma otterranno in compenso un super attrezzo addizionale non 
	avvistabile sui precedenti due (il power shot) che va a interagire 
	con le bombe e che scatena l’arma di distruzione di massa. E che fa rumore. 
	Lo schermo trema. La popolazione diminuisce. Il risultante volume di fuoco assume 
	la via del gameplay d’alta difficoltà che si ebbe a subire nei primi ’90, 
	anche se adesso le aspettative di vita sembrano essere più favorevoli.  Per gli intenditori del genere shoot 
	’em up
    Raiden Fighters è il vademecum cui prestare costante richiamo. Se non 
	altro per questa rigorosa disposizione classica che esprime confusione e 
	brutalità tali da riempire il display e sconfessare eventuali pause di 
	riflessione, e giusto quando la capacità di assorbimento della guerra 
	diventa crocevia unico di sopravvivenza. Prendere o lasciare: i proiettili nemici
    possiedono la diabolica caratteristica di non fallire il bersaglio, mai, e di approssimarsi
    inesorabili e veloci, e di sovrapporsi al fondale. Bisogna essere addestrati, 
	altrimenti si rischia di non arrivare ai quadri avanzati e di non vedere la 
	tecnica dell’esagerazione che disegna la classe dell’aviazione prossima 
	ventura, che illustra un mondo la cui sete di distruzione non ha confini. Il
    design delle astronavi è abbastanza complesso da non far rimpiangere Psikyo e il
    suo Strikers 1945. Gli sfondi, di per loro, coi dettagli da un 
	millimetro cadauno e il 2D particellare, sono il meglio che una scheda 
	coin-op del periodo potesse concedere. Lo si vede dai meccanismi corazzati 
	che arrivano. Dai giganti che 
	si dovrà
    affrontare a culmine di ogni stage: mega carri armati, portaerei ciclopiche, super
    stazioni missilistiche che sembrano duplicare in lunghezza lo Shuttle della 
	Nasa rendono infine Raiden Fighters lo shoot ’em up d’esaltazione 
	delle frontiere Seibu che tutti si attendevano e che nessuno s’era 
	immaginato diversamente; quand’anche non rivoluzionario per il genere, e mai 
	Seibu avrebbe voluto che accadesse, il presente videogioco scava un’impronta 
	indelebile sulla pelle di chi l’ha vissuto.  
 
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