STRIDER HIRYU
di @Luca Abiusi

Fu Strider Hiryu a buttare giù il muro in novembre, col benestare di Capcom. In seguito montarono la cazzata di Egon Krenz che briga fratellanza col Papa. Il destino degli strider è di risolvere problemi rimanendo nell’ombra: il 30 aprile del Quarantacinque fu vista dileguarsi una sagoma azzurro scuro tra le macerie del bunker lì a Berlino, primaché la polizia segreta russa mascherasse a suicidio l’uccisione di Adolf Hitler e consorte, avvenuta per mezzo di una scimitarra al plasma; viene raffigurato all’esaurirsi degli anni Ottanta questo futuro falce e martello in “Kafazu”, notevole allusione al Kazakistan. Si leva l’armata rossa corazzata tra luci emesse a distanza nell’inesplicabile scena dello strider che atterra sui tralicci dei minareti fissato all’aliante in questa San Pietroburgo pullulante di cosacchi-replica. L’assillo filo-stalinista assolutista è liricista sulle acustiche non omologabili come per causticità e stigmi, incastellature pentacolari di reincisione su Compact Disc che assolutamente dice grazie alle tracce formato 1989 di Junko Tamiya.  

Il 2048 pronosticato da Capcom vige sotto al colbacco del plenipotente Grandmaster Meio. Il quale che segretissimamente immette stazione orbitante facente da centro di smistamento del Soylent Green, e debbono avere percepito qualche cosa dall’isola di Moralos in seguito ai resoconti annuali indicanti un sospetto abbassamento degli indicatori demografici, al punto che il giovane Hiryu giura di ergersi in solitario contro il pezzo grosso e le sue fila, a iniziare diatriba in cinque (sei) livelli tra capitalismo al ciuffo e cannibalismo comunista contemporaneo, sebbene che si appura la anacronistica partecipazione da co-antagonista di uno uguale a Gorbaciov, nel primo quadro; ma implicazioni statiste a parte, Strider si rende illustre nel salto da acrobata, scalatore in potenza di attaccarsi alle superfici sporgenti; il balzo ortodosso di Rygar e Rastan Saga passa al già dato, ché si riformi il platform nelle mimiche, su incastrature movibili a spaziocentri e gravità, a sgambare sui soffitti-calamita nemmanco fosse una bevuta al circolo dei dardi della Nuova Manchester. L’altra esteriorità, irrealista dei sauri-robot, delle megalopoli, delle pioggie nucleari proclama la resa distanza della Capsule Computers di faccia agli usi contestuali del giuoco elettronico in cui è frequente la gaiezza, perché si arrivi a manipolare il simultaneo sullo storicismo, braccando elettrici – e famelici – i postumi del neo-umanesimo.

Si introduce riguardo alla traduzione PC Engine CD un intero livello inedito e sequenze funambolesche di intermezzo non visibili in sala, così da spiegare l’uso della Arcade Card nel quando che si guarda il pre-rendering e l’animazione in 3D pure ancora se l’upgrade viene spremuto poco e niente nel finimento delle grafiche degli sfondi, che dovevano venire traslate riteniamo un filino meglio nella fase della stuccatura del pixel. Lo stile viene tuttavia preservato. In virtù di questo, il gameplay resta assai rispettoso delle dinamiche hardcore stabilite da Madre Superiora allora che scrisse per coin-op e X68000, pur tuttavia che il livello di difficoltà viene sul sistema Nec moderatamente ridotto. Si rilevano occasionali semplificazioni degli esistenti pattern, quando per sopravvivere si necessitava di imparare in anticipo gli spostamenti del nemico, situazione che si determina pure adesso, ma che viene stigmatizzata dallo strategico riposizionamento delle zone di ripristino post-mortem; il computo dei fotogrammi sembra essere il medesimo dove che si deve procedere in verticale verso dove che ci sta la struttura sotterranea, appena dopo il cane meccanico, e vuole incarare addirittura nel momento in cui si è risucchiati dalle sabbie dello stage numero due menzionante Daimakaimura, o nel mentre che la forza antigravitazionale dello stage numero quattro muta radicalmente la prospettiva di giuoco. Strider Hiryu è tornato. È un po’ scolorato, ha messo su un paio di chili e può essere che si è perso per strada qualche sprite minore, ma per il resto è rimasto lui. Strideristicamente lui. 








  Piattaforma PC Engine Super CD-Rom² + Arcade Card
  Titolo Strider Hiryu - ストライダー飛竜 -
  Versione Giapponese
  Anno immissione 1994
  N. Giocatori 1
  Produttore Nec Avenue, Ltd.
  Sviluppatore Dice Creative Inc.
  Designers Satoshi Ohno, Toyohiro Imagawa, Gorou Takahashi, Norio Ishii, Akihiro Saito [....]
  Compositori Junko Tamiya, K.M. Brothers
  Sito Web www.dice.co.jp
  Sist. di controllo Digitale - Joycard
  Numero tasti 2
  Orientamento Orizzontale
  Scrolling Multidirezionale
  Formato CD-Rom
  Numero supporti 1
  Compatibilità NTSC-J [] NTSC-U/C [No]
  Genere Action platform
  Rarità
  Quotazione 100 - 150 €
  OST Sì [Strider Hiryu -G.S.M. CAPCOM-, 1989, Pony Canyon] [Coin-op]

  Il versante Nec del videogioco avrebbe dovuto esordire nel corso del 1990 per console SuperGrafx, ed è noto che il port fosse già stato commissionato a quelli di Alfa System, che erano non a caso gli autori della versione SuperGrafx di Daimakaimura. Tuttavia, in ragione del modesto volume di vendite fatto registrare dal nuovo sistema a 16 bit si scelse di dirottare i lavori di traduzione verso il PC Engine. Ma con scarsi risultati. Si realizzò che il divario tecnico di fianco al coin-op non poteva consentire un adattamento che rispettasse gli standard qualitativi richiesti da Capcom, e si dovette per cui attendere fino al marzo del ’94, allorché la stessa Nec immise sul mercato giapponese la Arcade Card, che coi suoi 2MB di Ram e le sue evolute facoltà di calcolo poligonale flat shaded di fatto rendeva il PC Engine fornito di lettore CD una console da combattimento. Il port viene dunque affidato alla relativamente giovane Dice Creative. Che ciò malgrado riesce a rispettare la deadline, consegnando quindi nel settembre del ’94 dopo una gestazione di cinque mesi circa. Di recente, Strider Hiryu Arcade Card ha ottenuto ristampa grazie a PCEWorks, che lo ha inserito nel raccoglitore “Arcade Card Gems” di fianco a Ginga Fukei Densetsu Sapphire, Mad Stalker e Madou Monogatari I.