| DOLPHIN BLUEdi @Luca 
Abiusi
  Sul 
punto di credere di averlo sradicato dal sedimento di precedenterrimi sedicimila 
punto cinquantanove videogiochi di azione il segmento di azione 
anime sensazionale di questo Dolphin Blue che discorre di superacquatici 
conflitti giapponesi che tengono il character design che sembra 
defluire 
dallo Studio Ghibli dei momenti migliori così, come l’acqua minerale Rocchetta ci era 
tuttavia all’orizzonte balenato un qual sentimento di radicalismo che aveva 
indotto i 
Nostri Sacri Scroti ad accettare la naturale trasformazione temporale del giuoco di 
uccisione altrimenti detto Metal Slug – addirittura c’è chi 
dice che dietro a Dolphin Blue vi fosse un qualche reduce del team Saurus, ma 
non dovrebbe esser vero – per due giocatori portatori di gettoni d’argento 
Atomiswave, che significa dire Naomi. Che significa dire Dreamcast. Che 
significa dire che sul Dreamcast non è uscito. Videogioco generalmente molto più che 
interessante, Dolphin Blue non poteva semplicemente arroccarsi nell’arcade da 
toccata e fuga a fianco al suo diversificare et divergere nell’uso e consumo dei cannoni e dei 
missili praticando il delfinismo, e anche sulle portaerei, e siccome il montaggio 
della fucilazione è una concatenazione di sequenze violentissime cui si vorrebbe fare all’ammore 
non una non due ma ventidue volte potrebbe succedere che delfino blu diventi 
stradafacendo il
più migliore assai tra i fucilieri di sua maestà Shock Troopers 2nd Squad. Ma che cosa te ne frega a te 
di che cosa sta succedendo sullo schermo: abbasta che sai che si spara e 
che non devi agire in modo differente vistoché i nemici se ne stanno tutti 
schierati a promulgare il gioco-felicità nel quale a trionfare è il delirio 
della guerra contro 
gli uomini con le uniformi fasciste con tutto che si smonta, e le strutture cedono: 
spari da sott’acqua verso un pezzo di lamiera di una nave affondata due schermi 
dietro dal capitano 
di corvetta Flavio Odoacre VII per osservare il frammento distaccarsi e rivelare potenziamenti a 
misura di monete o casse di lanciamissili e mitragliatutto a tempo, da che viene 
giustamente usato il metro di ponderanza del rendere subitamente scaricabili le armi 
violente, ché altrimenti poi il gioco poteva finirlo anche Gandhi. Il 
fatto dell’esistenza del delfino crea Jem bella e stravagante mentre balla il 
rock’n’roll e veste assai elegante, ma che si vesta o meno le vestigia dell’uno 
o dell’altra il trivellatore di Sammy santifica la potenza del fuoco, ma 
proprio ti viene d’intercedere al fuoco quando ti viene consegnato per le mani l’attrezzo che ti fa fuori 
quattro o venticinque cattivi in un colpo solo, e si vedono i bossoli che 
vengono espulsi e si vede il lampo successivo al rinculo che per un millisecondo 
acceca i Nostri eroi del mondo dell’acqua, ma solo quando stanno fuori 
dall’acqua, poiché sembra che in condizione di apnea il fuoco non si accenda; i 
programmatori ricostruiscono bene il film dove stava Dennis Hopper che 
giganteggiava, un film-inchiesta sull’eccedenza dell’acqua che sicuramente ricorderai. Tecnica di trasparenza di tessuti 
animati di significazione, slanci abili alla reiterazione della sterminazione del nemico a 
livello strategico anche, poiché nulla sia infine inserito alla cazzum come sanno fare adesso con le castagne da raccogliere dentro alla mappa 
tutta colorata di verde che si estende per chilometri, e manco è una questione 
di genere; qui, dentro a Dolphin Blue, fuori del comun denominatore sociale è 
stato fatto un lavoro di straordinario design geografico prima del ragionamento 
estetico, prima degli elicotteri di Miyazaki e dell’effetto 
dell’inondazione dei palazzi, dell’idea di una post-nucleare Neo Atlantide 
japan style da insinuare nelle sale da gioco che si vestono di polvere e 
che però devono anche mostrare un cabinato con lo stick almeno. Per un discorso 
di retrogaming. Il videogioco, pur lineare nell’avanzamento, ricondiziona i 
termini dello shooter pluridirezionale comminandovi una fluidissima 
alternanza delle sequenze della distruzione onde arrivare sulle onde a percepire 
suggestioni di strapotenza che dopo il gettone numero uno invoglino a continuare col 
gettone numero due e tre finché la dinamica del trial and error non 
diventi una cosa con cui andare in accordo a valutare postumo il godimento che 
Dolphin Blue di grazia trasferisce dentro a cavità viscerali che non vogliono 
cedere al modernismo che arriva. Che è già arrivato. Vi è una colonna sonora di 
musica giapponese leggera detentrice di spari, nulla di veramente sensibile che 
tuttavia le sue consegne le risolve in modo brillante sull’evidenziatura 
sintetica dei momenti fondamentali del procedimento arcade, ché in sala giochi non 
si poteva essere tutti Rastan Saga. Che colonna sonora che aveva Rastan Saga.   
 
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