YU SUZUKI GAME WORKS VOL. 1
di @
Luca Abiusi

L’importanza di chiamarsi Yu Suzuki, quando aveva un senso, essere Yu Suzuki. Nel 2001 Sega gli aveva dedicato quest’elegia in GD-Rom che avrebbe dovuto serializzarne l’opera su volumi celebrativi di gran lusso. Ma in marzo il Dreamcast va fuori produzione e il lavoro del dipartimento AM2, cui era eccezionalmente stato affidato il processo di porting, si appresta a rimanere incompiuto. Yu Suzuki Game Works vol. 1 è in un certo senso l’ultima vestigia resa da Sega al videogioco arcade  sinché questi potesse ancor reggere il fardello dell’immanente tecnocrazia, della corsa alle connessioni globali che proprio il Dreamcast, per paradosso, aveva per primo iniziata. I cinque titoli proposti pesano quanto può pesare un ritorno improvviso alla sala giochi degli anni Ottanta, nel 2012; ne avvisti una che accetta ancora gettoni e che ha installati il cockpit di OutRun, la moto idraulica di Hang-On, la cloche di After Burner II. È la sala giochi di Shenmue che vien trasformandosi a oggetto a sé stante, santuario entro cui tornare a praticare la religione dell’arcade in super scaler dove gli sprites si muovono veloci in funzione del vettore centrale a linea d’animazione inclinabile di 270 gradi in progressione, per cui lo stick del derivato Naomi è fatto a posta, non come ai tempi dei Sega Ages di Saturno, che per sterzare in precisione devi spender centoni in Arcade Racer e controller deputati.

La questione OutRun è controversa. Avendo Sega perduti i diritti di sfruttamento del marchio Ferrari, opportunamente opta per la sostituzione dell’originale Testarossa a vantaggio di una non troppo identificabile auto sportiva del medesimo colore. A esser onesti, e pur commiserando talune pratiche di discontinuità culturale, il nuovo design funziona. La revisione attuata nella Sega Ages 2500, quella sì era un mezzo disastro. Ma qui ci rientra codesto simulacro dalla scocca che taglia il vento, attaccato all’asfalto come dev’essere, come doveva essere se si voleva superare l’accezione stante il racing game e annunciare a seguito il dogma del driving game, la riformazione del corsista da strada che nell’Ottantasei l’autore porta sul verso dell’aggiornamento accelerato, del dettaglio perimetrale, del force feedback, del tracciato per estuari. Hang-On sfreccia tuttora. Può apparire acerbo all’occhio svezzato dal turbo di Super Hang-On, ma sicuro che il piegare di striscio al ginocchio e non meno lo staccare dopo il rettilineo portato al limite diano al corsista lo spessore che prodotti più recenti riescono a infondere manco dopo sessioni di una settimana. E Hang-On ci impiega mezz’ora a sancire il gameplay di slittata e doppie curve a duecento all’ora, a farsi beffa del realismo, a vivere di puro istinto.

After Burner II è S.S.T. Band. I suoni che proclamano l’armageddon dei cieli, i missili e gli omini giapponesi che battono le mani a tempo, Hiro e l’assolo a dieci dita impossibile. Devi operare di virata a strattoni e scansare, sparare raffiche in aggancio, Top Gun, l’autocitazione, OutRun ancora in fase d’atterraggio. Il tema portante in Power Drift, sempre Kawaguchi, lo si conquista sterzando al circuito-E; ci rimase in circolo per chissà quanti lustri e ritorna, adesso, con gli innesti a percussione vibranti, s’insinuano nelle carni le tastiere anche se c’è chi dice di preferire alle stesse il virtuoso residuare delle acustiche Z80 del circuito-C. Piuttosto si renda omaggio alle grafiche che vanno a strapiombo, all’effetto inclinazione che anticipa le tecniche di elaborazione tridimensionale in forma di rotazione delle textures bidimensionali e determina, in atto di scaling, il modello di guida più radicale della Sega Y Board, ch’era l’unica motherboard a far uso di tre processori MC68000 operanti in parallelo. Space Harrier è il prototipo. La pietra angolare del castello di illusioni che Suzuki ha eretto nell’arco d’un ventennio per incidere l’evoluzione del videogioco, aprire l’intrattenimento elettronico alle visuali di prospettiva vettoriale a scrolling perpetuo, niente scatti alle animazioni, niente scarti delle animazioni. Il totem si avvicina aggiornando a trenta fotogrammi e il drago a due teste sbatte sinuoso il suo tronco, e d’accordo che si deve sintetizzare elementari aerodinamiche di spostamento e in sostanza esibire lo schema dello shoot ’em up, e tuttavia non vediamo cos’altro dovesse fare un gioco dell’Ottantacinque perlopiù programmato per appagare le suggestioni di adolescenze in cattività.









 

  Piattaforma Dreamcast
  Titolo Yu Suzuki Game Works Vol. 1 - 鈴木裕ゲームワークス Vol. 1 -
  Versione Giapponese
  Anno immissione 2001
  N. Giocatori 1
  Produttore Sega
  Sviluppatore Sega AM2 / Aspect / Rutubo Games
  Designer Yu Suzuki
  Compositore Hiroshi Kawaguchi
  Sito Web www.sega.co.jp
  Sist. di controllo Digitale/Analogico - Joystick/Joypad
  Numero tasti 2
  Orientamento Orizzontale
  Scrolling Sprite scaling
  Formato GD-Rom
  Numero supporti 1
  Compatibilità NTSC-J [] NTSC-U/C [No] PAL [No]
  Genere Driving / Shoot ’em up
  Rarità
  Quotazione 70 - 90 €
  OST Sì [AFTER BURNER II, 2018, Data Discs / OUT RUN, 2016, Data Discs ....]

  Il lavoro di conversione, commissionato da AM2 alla sussidiaria Aspect, risulta convincente. Eccezion fatta per il port di OutRun, tutti i titoli risultano essere riproduzioni esatte dei corrispettivi per sale giochi, soundtrack compreso. È in effetti curioso che debba essere proprio “l’opera magna” a presentare le modificazioni più rilevanti in ambito estetico e dunque sonoro (gli effetti sembrano sensibilmente più nitidi). Va comunque detto che Aspect ha optato per la via della traduzione su hardware, così da evitarsi di dover compilare emulatori mirati. In quanto a opzioni extra, Hang-On è l’unico titolo a realizzare un menu di configurazione interno. La Yu Suzuki Game Works Vol. 1 si presenta sotto forma di libro di 122 pagine. Il GD-Rom dei videogiochi viene quindi incastonato nella zona interna della copertina. Il volume è suddiviso in sette capitoli. I primi cinque sono dedicati ai singoli titoli, quindi i restanti due raccontano rispettivamente l’infanzia di Suzuki e la sua visione del videogioco su prospettive future. Inevitabilmente, il libro è stampato in idioma giapponese, per cui risulta complicato, per i non giapponesi, riuscire a estrarvi qualcosa di comprensibile. Ciò nondimeno, nel 2003 il laureando in Scienze Politiche presso l’Università di Washington Robert Scharr si assunse l’onere di tradurre l’opera in lingua inglese, lavoro che portò a compimento con successo e che presentò a Sega of Japan con la speranza di un’eventuale distribuzione postuma sui mercati statunitensi. Ricevuto il manoscritto e mostratasi entusiasta, Sega vi pianificò un progetto di pubblicazione, anche realizzando il design della cover, ma il tutto non ha avuto evidentemente seguito (a quanto sembra a causa di una serie di intricati impedimenti di natura burocratica).