SPACE HARRIER
di @Luca Abiusi

spaceharriercover2.jpg (24564 bytes)Suzuki s’inventò il super scaler perché aveva bisogno di un argomento da discutere in tesi, con tutti gli altri che avrebbero argomentato sul Basic e le sue implicazioni rispetto all’imminente sbarco su Marte, e questo accadeva diversi anni prima di essere ingaggiato da Sega, dove la sua tecnologia potè trovare applicazione su di un gioco il cui sviluppo aveva richiesto un hardware specificamente modellato (si trattava di un doppio processore MC68000, scheda che sarebbe divenuta lo standard per i successivi videogiochi di Yu Suzuki). Il titolo in questione portava il nome di Space Harrier. Sega inizia a fornire l’effetto lobotomia. Quindi il video-utente viene bombardato da quintali di grafiche e vettori mai visti prima, ché nel 1985 il massimo concepibile per un videogioco, in termini visivi, era probabilmente Ghosts’n Goblins. Non che il titolo Capcom ai tempi non avesse il suo culto, ma si può dire che l’effetto che Space Harrier ebbe sul frequentatore medio delle sale giochi fu di allenare lo stesso alle frontiere del futuro, alle tecnologie nuove, al 3D simulato. Nulla di clamoroso nel settore del gameplay, di nuovo a struttura classica, ma qualcosa di indubbiamente inedito da un punto di ripresa strettamente oculare.

In Space Harrier si impersona un eroe volante catturato da dietro le spalle. Scopo del gioco: sparare. Possibilmente a tutto, col potente cannone laser in dotazione, attraverso un mondo non ben definito e altresì popolato da una mistura di mostri, robot, congegni volanti. Sussiste diversione d’epoche e bestiari, sicché il mammuth e l’astronave corazzata divengano oggetti di un fantascientifico viaggio attraverso lo spaziotempo, e nondimeno un immergersi entro geometrie di gran realismo, al punto che l’innesco si realizzi sottoforma di campo d’allenamento, perché si percepisca la distanza tra pixel. Una volta addentrati nel sistema di scrolling autonomo il bersagliamento del nemico otterrà l’atto pratico della guida, dello scansar bordate, dell’attacco al boss per guadagnarsi il livello successivo. Mansione appagante benché, alla lunga, pericolosamente ripetitiva. Difatti la congenita impossibilità di sviluppare l’asse Z penalizza il gameplay difronte allo scorrere di un classico shoot ’em up orizzontale, il cui assetto viene adesso a mancare nei termini della pura manovrabilità. Codesto limite è in parte mascherato dal ritmo assai sostenuto dell’azione, a non far pesare troppo l’assenza di profondità e a far sparare, finché si è vivi. Così il gioco, mantenendo costante il livello di intrattenimento e pur senza eccellere in variazione, riesce a restituire la sensazione di appagamento ch’era in mira di Yu Suzuki, lui che vuole stupire a mezzo effetti speciali e gran colore, gran forma di sprite orbitanti a gran velocità.

L’effetto scaling funziona dannatamente bene. Sebbene la tecnica di ingradimento a scalare non fosse del tutto nuova – Splendor Blast di Alpha Denshi, nello stesso anno, avrebbe prodotto un ottimo simulacro del Super Scaler – la contorsione in velocità delle forme bidimensionali, sì che si percepisse netto l’avvicinamento del nemico verso la telecamera, arreca la visione del movimento e consegna alle strutture una corpulenza non possibile in sessione di bitmap. Prevale il dettaglio. Bisognava disegnare diverse versioni dello stesso sprite e poi fare in modo che l’artefatto dell’ingrandire fosse consequenziale, non rilevabile, cosicché anche in raffronto a tecniche di elaborazione tridimensionali l’aggiornamento potesse preservare il dettaglio in fase di zooming. In tal modo il design elementale, assoluto, intarsiato, tratteggiato a mano, preserva il colore e trattiene a sé la maestosità delle distorsioni a trenta fotogrammi per secondo. Non si ravvisa percettibile il decremento del frame rate, anche con più di dieci nemici simultaneamente a display, e non rallenta pressoché mai, lo scrolling dei vettori. Il suono persiste epico. Hiroshi Kawaguchi istiga l’udito traversando l’estesa capacità di sintesi del processore Yamaha a 4MHz e sancisce il brano di trasmigrazione, il tema portante che vale l’interagire, che decide lo strato dell’avventura surrealista. Space Harrier determina l’evoluzione complessiva delle tecniche di sviluppo del videogioco. Impensabile tornare indietro, dopo questo. Il settore si sarebbe allineato alle innovazioni di Sega anche si trattasse di realizzare racing game o simulazioni sportive. Poche storie: la base di partenza del videogioco a scorrimento frontale doveva essere la super tecnologia, il visus che a primo contatto potesse esercitare il clamore della stupefazione.









 

  Piattaforma Coin-op
  Titolo Space Harrier - スペースハリアー -
  Versione Giapponese
  Anno immissione 1985
  N. Giocatori 1
  Produttore Sega
  Sviluppatore Sega AM2
  Designer Yu Suzuki
  Compositore Hiroshi Kawaguchi
  Sito Web www.sega.co.jp 
  Sist. di controllo Analogico - Cloche
  Numero tasti 3
  Orientamento Orizzontale - Yoko Mode
  Scrolling Sprite scaling
  Risoluzione 320 x 224
  Formato PCB - SEGA Space Harrier
  Emulazione Completa [testato su MAME]
  Genere Shoot ’em up
  Rarità
  Quotazione 150 - 200 €
  OST Sì [Yu Suzuki produce Hang-On / Space Harrier, 1997, Marvelous Entertainment]

  Il videogioco ottiene trasferimento su di un vasto numero di sistemi esterni. In Giappone, sul fronte personal computer e grazie a Dempa Micomsoft, vengono realizzati a partire dall’87 i port PC-88, Sharp X1, Fujitsu FM e X68000. Sui primi due sistemi Space Harrier è invero veloce ma approssimativo sul rilevamento degli sprite. Per Fujitsu FM-77AV il gioco possiede colorazione e disegni di notevole dettaglio. Anche il suono, qui, si determina più incisivo. Superiore al restante l’edizione X68000, che se non è arcade perfect poco ci manca. Sempre in Giappone, ma su console, una notevole edizione PC-Engine può competere cromaticamente con il rispettivo port Megadrive 32X, ma non sulla fluidità dello scaling, che difronte all’upgrade hardware griffato Sega risulta non confrontabile. Sul Master System vi è decenza. Il numero degli oggetti a schermo è assai inferiore ma si manovra bene col joystick. Nes esprime povertà. In Occidente le edizioni Amiga e Atari ST, benché ambedue prodotte da Elite, sono abbastanza diverse. Sul 16 bit Commodore il pupazzo è piccolo, ma lo scorrimento fluido, lo schermo pal esteso, il sistema di controllo via mouse eccelso. Su ST si opta per una finestra grafica ristretta, ma in compenso il protagonista si impone e il suono rimane ascoltabile. Su quest’edizione si sarebbe poi realizzato un port PC MS-Dos generalmente equiparabile. Commodore 64 (Chris Butler) è interessante; il bitmap decide grafiche vettoriali e vi è rapidità. In tal senso, la parallela versione NTSC distribuita in Nord America, che inoltre modifica l’hud sottostante, è ancora più convincente. Su Amstrad CPC si opta per la ridefinizione degli oggetti, le cui visuali vengono concepite in trasparenza per non gravare sul calcolo. Spectrum non tanto bene. Le grafiche risultano confuse, e il numero degli sprite avvistabili è sicuramente inferiore rispetto ai restanti 8 bit. In quanto ai portatili, urge raccontare di una conversione Game Gear di ornamenti ben resi, ma pur lenta nello scorrere, e quindi di un port Game Boy Advance (Sega Arcade Gallery) assolutamente bello. Con l’introduzione dei 32 bit Space Harrier può esercitare a metà ’90 il diritto a una riproduzione al pixel. Che accade sul Saturn nel secondo volume della Sega Ages. Sul Dreamcast, dentro la sala giochi di Shenmue, verso il 2000 (anche nella Yu Suzuki Game Works Vol. 1), il gioco è pressoché lo stesso, ma possiede inoltre il vantaggio del controller analogico di serie. Splendida la riproposizione in collection in ambiente PlayStation 2 (Sega Ages 2500 Vol. 20: Space Harrier Complete Collection) che ha dodicimila settaggi sulle risoluzioni video. Assai meno riuscito, ma comunque valido per come interviene sul nuovo design dell’attore volante, che è reso stylish, nonché per il missaggio delle musiche, che sterzano sull’elettronico hardcore, il preesistente Sega Ages 2500 Vol. 4: Space Harrier di D3 Publisher.