THE UNFINISHED SWAN
di @Marco Trabattoni

Arrivati al termine delle due/tre/quattro ore necessarie al completamento di The Unfinished Swan, ci è sembrato impossibile descrivere quanto vissuto/giocato; non tanto perché ammutoliti dal surrealismo dilagante, quanto, più banalmente, per la sfuggevolezza dell’interazione: minimale, mutaforma, inafferrabile nel suo fluido dileguarsi, da un livello all’altro, da una pagina della storia all’altra, eppure incredibilmente ammaliante. Ammaliante perché indefinibile, indefinibile perché evanescente, come il cigno che si insegue. Evanescente perché prima dipingi, poi coltivi, poi sei Link nei Lost Woods e un attimo dopo ti ritrovi in cameretta a giocare con le costruzioni. L’impalcatura narrativa del gioco diventa allora specchio di quelle sensazioni/interazioni rarefatte che caratterizzano l’esperienza: una fiaba dentro a un sogno che diventa un sogno dentro a una fiaba, a sua volta, molto probabilmente, allegoria di ben altro. Un doppio/triplo strato diegetico che pone 'oltre' l’intelligibilità del testo ludico e confonde i sensi, confonde il senso. Come gli ipnotizzanti dipinti del Re, cultore della mise en abyme pittorica, che trasportano in uno-due-tre luoghi testuali differenti senza muovere il giocatore/simulacro. Spiazzati da tale abbondanza semiotica/semiosica e incapaci di procedere altrimenti, proponiamo allora una lettura del testo basata sulla magnificazione di alcuni rimandi intertestuali, affinché il nostro smarrimento interattivo trovi aggancio nel già visto/giocato, e chissà che nell’operazione emergano sensi/sensazioni ulteriori.

Matteo Bittanti definisce The Unfinished Swan un atto sovversivo nei confronti del first person shooter, dal momento che ne eredita l’impianto di interazione (visuale in prima persona, mirino al centro dello schermo, sparare) per mettere in scena tutt’altro. Qui infatti si spara vernice e la pistola è in realtà un pennello magico, un retaggio spectoriano, diremmo: se in Epic Mickey si dipingeva per costruire, letteralmente, le piattaforme su cui saltare, in The Unfinished Swan, similmente, si dipinge per costruire il campo visivo e la conseguente percorribilità dell’ambiente di gioco. Il nero è l’unica luce: oscurare il mondo per vederne la forma. Una stanza completamente bianca non è diversa da una stanza completamente buia: in ogni caso non vediamo, non sappiamo. Verniciamo di nero per illuminare, ossimoro ludico che proietta l’incipit di The Unfinished Swan negli annali. Quindi first person puzzle, come Portal, evocato anche nella (il)logica escheriana delle architetture impossibili, dei portali magici (qui strutturali, già parte del mondo); first person puzzle come Quantum Conundrum, figlio legittimo di Portal e avvicinabile a The Unfinished Swan nel fornire l’insolita soggettiva di un bambino. Ma siamo lontanissimi dagli enigmi più o meno spaccacervello dei titoli appena menzionati: qui l’ostacolo è posto semplicemente per rallentare il cammino, non per costituirlo. Un avanzamento paragonabile alla fluidità apprezzata in Flower, altra soggettiva non convenzionale e altro intertesto esplicitato da The Unfinished Swan nella celebrazione floreale della crescita incontrollata, del vegetale che conquista l’artificiale secondo la tradizionale opposizione natura vs. cultura.

Non facciamo neanche in tempo a renderci conto di come le superfici levigate e l’inquietante essenzialità della città disabitata rispondano a una ulteriore soggettiva-alternativa, quella di Mirror’s Edge, quando il racconto sembra nuovamente (an)negare ogni possibile appiglio interpretativo. Dal quasi-tutto-bianco del villaggio/castello/labirinto, al quasi-tutto-nero della foresta, dove la progressione sarà dettata da nuove suggestioni, quelle di un Limbo in prima persona. Ad accomunare le distinte fasi di gioco è la rincorsa al cigno incompiuto, dipinto fuggito dal quadro, metalessi vivente, rintracciabile dalle impronte che (in)direttamente segnano la direzione (il senso) da seguire. Talvolta riusciamo a scorgerlo, sembra perfino raggiungibile, ma già sappiamo che volerà via, inafferrabile: capiamo subito che il senso non è la caccia all’animale, ma il viaggio che scaturisce dall’inseguimento. Traduciamo 'viaggio' in inglese e leggiamo Journey, poi scopriamo che per vedere davvero Journey è sufficiente guardare alla luna, To the Moon, in inglese: forse non c’è niente di casuale, nemmeno la ripetuta ma 'settoriale' variazione delle meccaniche ludiche. Una straniante e continua rinegoziazione, fino all’indimenticabile fase finale in cui, senza togliere spazio all’interazione, un certo personaggio diventa narratore intradiegetico, cosicché il raccontato diventi il giocato e il giocato il raccontato, alla maniera di Bastion, mentre specchi alle pareti rivelano sottilmente l’oscillante identità simulacrale del giocatore, al crescere di una colonna sonora celestiale.

L’intralcio dell’interattività, insieme essenza e condanna del videogioco, per alcuni allontana il medium stesso da qualsivoglia aspirazione 'alta', tanto che nei titoli esteticamente/narrativamente più ambiziosi/pretenziosi, tale intralcio viene spesso narcotizzato nella semplicità strutturale. Posta l’indiscutibile potenza espressiva di un mondo allo stesso tempo di fiaba e di sogno, e senza dimenticare la forte carica emotiva generata dal vivere l’avventura nei panni di un bambino (effetto reso magistralmente nelle proporzioni con il mondo di gioco, nei sospiri, nello stupore), The Unfinished Swan potrebbe rientrare nella categoria di cui sopra (“più che un puzzle game è un tech demo”, sottolinea Bittanti), eppure si avverte una volontà disperata di ludicizzare l’esperienza. Si procede a tentativi. Ogni 'livello' è cioè il demo di un differente gioco, di complessità crescente (all’inizio il bambino gioca con i colori, alla fine con il Lego), sconfessato quasi totalmente dal livello successivo. Sperimentazioni di game design, collezione di giochi incompiuti. Se l’intera fiaba vuole essere un elogio all’incompiutezza, l’incompiutezza della struttura ludica diventa allora un effetto di senso: la storia è coerente e 'compiuta' (e ci dice che non è male lasciare le cose a metà), le interazioni, sconclusionate, meta-comunicano il medesimo concetto rafforzando l’isotopia stessa dell’incompiutezza come possibile traguardo. Comunicazione tramite interazione, tramite videogioco. Fine.      















  Piattaforma Playstation 3 / Playstation 4 / Playstation Vita / Windows PC / iOS
  Titolo The Unfinished Swan - 未完成の白鳥を追いかけて -
  Versione Europea
  Anno immissione 2012
  N. Giocatori 1
  Produttore Sony Computer Entertainment
  Sviluppatore Giant Sparrow
  Designers Ian Dallas, Max Geiger, Joshua Beeler, Eric Itomura, Nathan Frost, David Siems [....]
  Compositore Joel Corelitz
  Sito Web www.giantsparrow.com
  Sist. di controllo Analogico - Joypad
  Numero tasti 6
  Orientamento Orizzontale
  Scrolling 3D Scaling
  Formato Digital Download
  Capienza 1580 MB
  Compatibilità / /
  Requisiti tecnici / /
  Genere Avventura
  Rarità / /
  Prezzo 12,99 €
  OST Sì [The Unfinished Swan Original Soundtrack, 2012, Sony Computer Entertainment]