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decise di evitarsi di trascrivere il codice della versione X68000, che pure aveva 
conseguito il riconoscimento della critica, oltreché discreti guadagni. E comunque 
fu grazie ai rassicuranti dati di vendita ottenuti dalle versioni personal computer che potè in seguito 
verificarsi codesta edizione PC Engine CD, coprodotta dalla Nec, con cui si rivedeva in parte lo script 
originale ma con la quale si approfondiva anche il sottotesto, ché era stato 
esplicitamente chiesto di realizzare ruolismo di gran mestiere che concorresse 
coi giochi di ruolo residenti sul Super 
Famicom. Pazzi. Ma però Emerald Dragon formato CD-Rom è un videogioco potente. E lo è malgrado la presenza 
ingombrante dei kanji all’interno dei menu
    e durante i dialoghi, fatto che potrebbe scoraggiare i neofiti ma che con un minimo
    di pratica ripagherà una struttura che comunque non vuol farsi del tutto 
condizionare dalle meccaniche testuali.
    La storia racconta di un genocidio di draghi in un tempo
    lontano lontano, di una compagnia di avventurieri, di una principessa alla ricerca della
    sua terra dimenticata e, immancabilmente, di un drago scampato al massacro della sua razza. 
	Intrisi di romanticismo, gli accadimenti evolvono adulti cagionando un 
	sentimento di rara immedesimazione con i
    protagonisti avventori, una simbiosi che saprà coinvolgere stimolando, per effetto, la
    esplorabilità dei luoghi. Le azioni da compiere in game richiamano 
	alla tradizione nipponica del genere, prevedendo l’utilizzo di pozioni, 
	pergamene e tutta una oggettistica specchiante il contesto di splendenza 
	medievale a disfacimento, di sotto al giogo del male che ritorna sempre. 
	Starà a noi decidere le sorti del mondo conosciuto e indirizzare gli 
	avvenimenti sul binario della giustizia, vagando per distretti, regni 
	decaduti e terre maledette dove si concerne di strategia del combattimento, prima ancora che di 
	coefficiente di esperienza, ancorché le meccaniche che
    regolano gli scontri sovvengano intuitive e giammai mortificanti.
    Viene in mente 
	Shining Force. Eppure qui il
    meccanismo della turnazione si evolve verso una idea ruolista polistrutturale, che
    menziona Ys – i colpi inferti al nemico diventano effettivi al contatto – e 
	Tales of Phantasia – il giocatore deve muovere direttamente 
	col protagonista, in questo caso Atolshan, benché una opzione di comando 
	secondaria consenta di affibbiare al party un circoscritto reticolo di 
	azioni – al fine di realizzare migliore tatticismo e offrire profondità 
	laddove il genere dispensa abitudine. La geografia. Emerald Dragon non è 
	jRPG classico e l’avventore se ne rende conto esplorando gli (immensi) spazi 
	di interazione, che si scopriranno essere pensati come luoghi privi di 
	interruzione di continuità: se il girovagare griffato Squaresoft perlopiù 
	consisteva nel perlustrare territori geograficamente slacciati dalla mappa e 
	descritti da una icona di riferimento (la casa stava per villaggio, la torre 
	per roccaforte, il castello per...castello) adesso, con Glodia, l’intero 
	mondo è figurato come luogo unico e indivisibile, e l’idea stessa di 
	copertura spaziale si estende alla revisione della randomizzazione del 
	combattimento, il quale, per quanto ancora arbitrario, vuole sottrarsi al prevedibile agguato campale divenendo
    parte attiva del gampelay in mezzo al bivacco dei villaggi. Il fattore sorpresa viene
    così istruito a funzione centrale per la sopravvivenza della sfida, e della stessa
    narrativa, e non vi è modo di abbandonare l’avventura poiché Emerald Dragon sa come
    allietare chi manovra, dall’esterno, con le sue grafiche di alto dettaglio e 
	luminosissimo
    colore, con le sue caratterizzazioni epiche, con queste musiche in chiptune 
	così mirabilmente integrate alle tracce portanti e infine con la poetica del racconto, 
	che resta percepibile pure con il limite della barriera linguistica.
	
	