VAMPIRE HUNTER D: Bloodlust Collector’s Edition
di @Luca Abiusi

Straveloci corrono i filmazzi dei vampiri di Yoshiaki Kawajiri. Essendoché non c’era stato Bloodlust soltanto. Antistante a esso si era difatti dovuto attestare il sanguinamento scarlatto di Cyber City Oedo 808, motivo di sviluppo negli anni considerabili ’90 di stravaganti trame psychotroniche sui draculi che succhiano i sangui di sì tante fanciulle dal candore simmetrico, ché si testifica in Bloodlust il medesimo barocco dislocativo-passatista et fantomatico in base al quale gli spadoni devono darsi il cambio coi raggi laser, a vista compiacendo le stilografie dell’omonimo racconto di Hideyuki Kikuchi, ma quelle appena, datoché Kawajiri si avvia un lastricarsi di curvamenti e crocefissi ottocenteschi da strappamento mandibolare, che si ha da osservare, per capire, che non sarebbe sufficiente sentirne dire o salivare sulle pagine dello storyboard se di mezzo ci sta un Kawajiri il cui atto di accedere al tempo progressivo all’interno di un precedente studio di anatomie muscolo-scheletriche, tant’è vero che gli attori si sentono di squarciare il visore a recidere da parte a parte le giugulari dei paganti portatori malsani di biancherie firmate Naoko Takeuchi, è proprio il suo modo di insistere sul metodo d’animazione turbofuturista, che deve rompere l’assoluto statico, che deve scappare in regime perpetuo.

Si professa disponibile il cineasta a intrattenere discrete pratiche di autocompiacimento sessuale, per non defluire nell’incesto con queste sue creature nere che bramano depravarsi più crudeli e rosse di sua crudeltudine Erzsébet Báthory – figura dal gusto sadico quantomeno eccentrico: vissuta tra il XVI e il XVII secolo, la donna soleva adescare e fare a pezzi giovani aristocratiche per il ticchio d’immergersi nel loro sangue –, la quale sovviene qui di ritornare alle sue antiche imprese, sebbene sotto mentite spoglie, seppure anche si capisca che è lei, non ci sono dubbi, le hanno dedicato filmografie intere eppure mai, esse, potranno essere all’altezza del ritratto truculento che il regista de La città delle bestie incantatrici le ha dedicato, un signore di barbariche maniere che istiga il fondamentalismo dei Nostri parametri di valutazione sicuramente inclini all’orrore di Bloodlust, discorrendo lui di scorribande in sequenza di licantropia e bounty hunter, come spaghetti western à la Sergio Leone di Qualche dollaro in più che apprestano a incassare benissimo il crepuscolo buronsoniano cui l’umanità del futuro è giunta a meritarsi, ché di certo l’esecrata creatura del film non può essere il Conte succhiasangue, ma viceversa chi gli dà la caccia, l’umanità, appunto, e forse lo stesso “D”, che nel sopprimere il suo “lato oscuro” rinuncia, masochisticamente, al patrimonio che lo renderebbe casto.

E siccome ci stava un ben fornito contingente di apostoli del maligno da esorcizzare “on the road”, dato per certo che erano le spericolate manovre registiche di George Miller a raffinare il combustibile dell’ultimo Kawajiri, è predisposto che i “claustri” cementiferi di quelle che una volta usavano chiamarsi “città maledette” siano abbattuti, per consentire lo slittamento del tempo narrato e un complessivo geografico incidente (Highlander: Vendetta Immortale andrebbe difatti guardato subito dopo) che non esitasse a infuocarsi degli scarichi a gasolio grezzo, di macchine coi rastrellatori di cadaveri sullo sfondo dell’età del medio spaziale, poiché restava intenzione del Kawy di erigere il razzo di Cape Canaveral esattamente al centro del Castello Nero, al posto del torrione, purché a ridosso della fiorura delle azalee; si risponderà al richiamo dell’Ordine Floreale cui Akio Sugino è membro fondatore, ché il Maestro di opere in costume ne ha dispensate per tre decadi, e che nel merito dei profili a punta ghirlati delle acconciature di Maria Antonietta D’Asburgo dev’esser trasalito in lacrime, avendo trovato in Kawajiri il primogenito cui poter trasferire proprietà e titoli risalenti all'antica dinastia nobiliare Imagawa. Sebbene colpevole di una stesura scritta ridondante, e ancorché pronosticabile nella intercorrente fotografia come in certi momenti di azione neutrale, il film resta un massivo esponente dell'anime cinestetico-immaginista che Kawajiri stesso, per intercessione di Rintaro, si era prefisso di iniziare ne La spada dei Kamui, la riduzione cinematografica della serie di romanzi di Tetsu Yano. Si recuperi Bloodlust in HD, se possibile in questa mirabile versione per il Regno Unito prodotta da AllTheAnime.












  Classificazione Film d’animazione
  Titolo originale Vampire Hunter D: Bloodlust - 吸血鬼ハンターD ブラッドラスト -
  Provenienza Giappone
  Prima immissione 2000 / Cinema
  Produttore Madhouse / Urban Vision
  Regia Yoshiaki Kawajiri
  Fotografia Hitoshi Yamaguchi
  Soggetto Hideyuki Kikuchi, Yoshiaki Kawajiri
  Character design Yoshiaki Kawajiri, Yutaka Minowa
  Mechanical design //
  Compositore Marco D’Ambrosio
  Dir. animazione Yutaka Minowa
  Sito produttore www.madhouse.co.jp
  Formato Blu-ray Disc / DVD-Video
  Edizione UK [AllTheAnime]
  Anno edizione 2018
  Numero supporti 2
  Lingue EN
  Sottotitoli EN
  Rapporto 1.85:1
  Compatibilità Region B
  Durata 101 min
  Episodi //
  Reperibilità Buona
  Prezzo 30 € circa
  OST Sì [Vampire Hunter D: Bloodlust (Original Score), 2018, Tiger Lab Vinyl]

 

Per quanto realizzato per intero dallo studio Madhouse di Nakano, Vampire Hunter D: Bloodlust ottiene la sua prima distribuzione cinematografica negli Stati Uniti, dovendo i producer giapponesi onorare i vincoli di esclusività stipulati con Urban Vision. Qui da noi il film sarebbe uscito unicamente in formato DVD nel 2005, grazie a Yamato Video, ma privo dell’audio giapponese. Mancanza che, tuttavia, avrebbe afflitto tutte le rimanenti edizioni Home Video occidentali, a seguito di una precisa imposizione di Urban Vision; la compagnia, con sede a Los Angeles, avrebbe dichiarato bancarotta nel 2016. Parte del suo catalogo è stata poi rilevata da Discotek Media e Sentai Filmworks.