LUPIN THE THIRD: Fujiko’s Lie
di @Luca Abiusi

Sul motocorsismo elevato a endo, inseguenti ottantistiche macchinazze coi fari a scomparsa, a valersi di specialissime clausole di sorvolanza dei treni merci, bestioni da duecentosedici tonnellate per un chilometro e mezzo di lunghezza, se non era che quel malefico del regista è più uno da carcasse, da ferri fuorilegge classe Mustang Boss 302 super custom poi che i corretti tasti da premersi debbono aver forma di acceleratori o grilletti in lamina d’argento, come lui dice, ancora che sarebbe da pazzi accusare il nostro di mestieranza casoché di capitare a tradurne in prosa la poetica e di svelarne gli impersonamenti aritmici, che a velocità incostante si muovono alla cerca di colei che è chiamata Fujiko Mine, ossessione animale degli uomini o immanente allegoria sulla introvabilità dell’amore carnifero, quello sfibrante che trafigge al petto, e che nessuno mai potrà ghermire; a questa narcisa bambola di porcellana avente non per finta dato il latte alla “baby boom generation” viene estorta una autentica confessione. Era nell’aria. Si capiva che le sarebbe toccato sin da La lapide di Jigen Daisuke, che già riclassava, rivoluzionava i ruoli.

Abbiamo notato temperatura d’estate, in replica alle fotografie ultrarealistiche dei trascorsi due, che adesso i fondali sono al contrario cartoline di tramonti cui abbinare scamiciati a tinta verde-giovinezza riconoscibili da lontano. Ma se la Fujiko del quarto filmazzo di Takeshi Koike non si presta a visibili grinze si caricherà d’altronde il peso di quarant’anni di telenovellismo, dove si materializzava a ripulire le casseforti di filantropi e capi di stato, ammodoché in questa ripetitura episodica ricorrente possiamo guardarla cinghiarsi nel lume di arrensione proprio del fatalismo, per un’autocritica presa in sacco delle sue maschere, che sfuggono al còrdo di una normalità che non le riguarda, sì che le basta di essere la donna di cui tutti conserveranno memoria; la menzogna di Fujiko Mine è di lei che dissimula l’innatezza dell’istinto materno col giustificante del movente criminoso, questoché nel corso della trilogia nuova resta su Monkey Punch quanto sempre sulla ricusazione di specifici modelli vocabolistici televisivi che odorano di stantìo, di cose di vecchiume a vedere che è la cinepresa a dovere fare la parte maggiore del lavoro richiesto, partendo a carrello prepotente da dietro al corpo a stilizzarne la falcata, in una cinemascopia di zoom lenticolare che incara la cognizione del moto da luogo diretro a pratiche di tracimatura del bordo del frame.

Eccosì Fujiko’s Lie sembrerebbe ricucire in chiave molto aerobica lo spionistico internazionale de L’inafferrabile (Fritz Lang, voto 8 con riserva, che ce lo dobbiamo rivedere); ci si trova subito alla presenza di schemi situazionali tipici, se pure svolgenti una loro attrattiva quando che il cliché rettifica di nero enigmatico e d’incantesimo, di bestie velenose che si riscoprono capaci di empatizzare, una volta che l’hanno vista in volto, al più tardi della resa dei conti orchestrata in grazia di un prototipo di sniper modificato per fare i buchi alle lastre in vetro blindatissimo, prima che agli encefali dei cristiani che si trovassero lì penitenzianti nel raggio di tiro. L’animato dà naturale sfoggio di sé. Riversa attenzione verso al quadro strumenti, e su prensili freschi di manicure che zappano con un certo livello di conoscenza sulla leva del cambio, allora che l’automobile si obliqua davanti ai miscredenti che pensavano che il terzo Lupin terzo di zio Takeshi potesse evidenziare fisiologici sintomi di stanchezza. Macché. La regia, virile, aggressiva, dimestica promiscuamente tra acrobatismi che non si vedevano da centocinquant’anni, a non far discorso dell’efferato scontro di generi a fondo di coltello e bujutsu antico, a dir che Sion Sono – Love Exposure, Cold Fish – non è l’unico e il solo a pronunciarsi sul globalismo delle coste del cinema, delle sue rifinizioni, e deformature, e i suoi paradossi, non appena che ti osservi il disegno erogeno mutilante di questo qui che è tra i superstiti dell’animazione in fogli trasparenti. Quella che gli hanno insegnato alla Medhouse.  












  Classificazione Film d’animazione
  Titolo originale Lupin the IIIrd: Mine Fujiko no uso - LUPIN THE IIIRD 峰不二子の嘘 -
  Provenienza Giappone
  Prima immissione 2019 / Cinema
  Produttore Telecom Animation Film / TMS Entertainment
  Regia Takeshi Koike
  Fotografia Jirō Tazawa
  Soggetto Yūya Takahashi
  Character design Takeshi Koike
  Mechanical design //
  Dir. animazione Takeshi Koike
  Compositore James Shimoji
  Sito produttore www.tms-e.co.jp
  Formato Blu-ray Disc
  Edizione Nord America [Discotek Media] - Italiana [Anime Factory]
  Anno edizione 2020 [Discotek Media] - 2021 [Anime Factory]
  Numero supporti 1
  Lingue JP / EN [Discotek Media] - IT / JP [Anime Factory]
  Sottotitoli EN [Discotek Media] - IT [Anime Factory]
  Rapporto 1.85:1
  Compatibilità Region A [Discotek Media] - Region B [Anime Factory]
  Durata 50 min
  Episodi 2
  Reperibilità Buona
  Prezzo 20 € circa [Discotek Media] - 44.99 € [Anime Factory]
  OST Sì [LUPIN THE IIIRD Mine Fujiko no Uso Original Soundtrack, 2019, good-beat.com]

 

Il film, uscito nelle sale giapponesi un mese dopo la scomparsa di Monkey Punch, reca ai titoli di coda un ringraziamento particolare. Da consuetudine, si è lì reso disponibile in Blu-ray limited edition. A tutto il 2020 non è ancora stato annunciato alcun adattamento fisico europeo. In UK, ciò nondimeno, la versione sottotitolata di Fujiko’s Lie è disponibile per lo streaming su Amazon Prime. Il versante Discotek presenta, da consuetudine, doppiaggio inglese e pista giapponese. [Update 20/10/2021] Nel corso del 2021, assicuratasi i diritti per l’Italia della intera trilogia, Anime Factory immette su Amazon Prime Video in edizioni doppiate e con sottotitoli. Lo stesso editore realizzerà su formati fisici, e in tiratura limitata a 1.000 copie, mediante box forniti di card e booklet.