LUPIN THE THIRD: Goemon’s Blood Spray
di @Luca Abiusi

Takeshi Koike si vede che sa. E si è studiate le origini della zantetsu-ken, allora che si cerca dalla biografia di Goemon Ishikawa un patrimonio antologico verso il quale orientarsi, e da cui accertare le dovute distanze, a risparmiarsi le ribalte che un film di licenza avrebbe comodamente conteso, sicché s’insiste nel valersi d’interventi di osteotomia del radio, per un sushi western che si confrontasse con l’inquadrato di Takashi Miike, e l’intruso di una cinegrafia italoamericana che dice di sapere i trucchi del mestiere a memoria, dalle spazialità larghe agli autoscontri con videocamera bassa, al caso ricorrendo a un ispettore Zenigata che si potrebbe scambiare per Henry Fonda, o anzi a una Fujiko doppiogiochista bohémien che irretisse a tipo di Bond girl; Lo spruzzo di sangue di Goemon Ishikawa, dove Lupin III si mostra in giacca nera, raccoglie il dualismo filosofico de La lapide di Jigen Daisuke in una tempesta di gesti terminali e gesta divinatorie che siano deceleranti del microtempo, di forse avanti a una fibra di coscienza paranormale che non è che un richiamo alla comunanza di fede con lo spirito degli elementi.

Lo scrittore Takahashi passa le persone da parte a parte. Ne lede gli organi periferici. E non che non l’avesse fatto ex ante coi fucili, mal grado che ora è storia di chirurgica taglienza, un simposio scientifico di dottoroni seduti intorno all’auditorium che battono le mani, tutt’al che la katana è un bisturi attaccato a un’elsa, ci si emoziona a osservare l’avambraccio cadere ed è perlopiù, questa che arriva, una richiesta di partecipazione alla festa dell’atto, dell’arto, a conto di previo abbassamento della curva di visibilità dell’occhio, cui si schiera il senso mancante, un organo animale che ristringe il lag fotometrico e risvegli alcune facoltà nascoste che il nemico certamente detiene, nello scorcio di girato più critico, entro a un raggiro hitchcockiano di presentimento di fine che si decritta nell’inquadratura replicante di “A prova di morte” in un’arte che porta catarsi alla radice del nervo, a sentirti morire illimitate volte, ché ti aggredisce alla testa una sensazione di teste che scivolano via dal collo e par di udire il rumore del martello che batte sui chiodi della cassa che spetta a chi disparge il sangue degli esseri umani innocenti; nel discorgere il rigetto delle folle, cotanto Takeshi Koike cede al fotoscenico con cui si era designato legittimo successore di Kawajiri, già nel 2009, per iscrivere la continuatura di queste forme aerodinamiche frontali che sprizzano e scorpano di carni.

Le terminalità dello strumento televisivo sono da qui respinte; vi è anziluogo un’imperativa bisogna di conciliarsi al teatrismo di Reinhardt, e contrappesare la massa cinetica al naturalismo di campo lungo preso dai ministri del cinema relativista giapponese degli anni ’50, in sede di ripresa di “Rashomon”, tutto rigorosamente in bianco e nero che spiega i modesti valori di contrasto e trasmittanza de Lo spruzzo di sangue di Goemon Ishikawa, incespicante nel perimetro del gesto kabuki, dietro appena a uno svolgimento pulp già mai sgarbato o fuori arco, ché mai sia scuoiarsi col muscolo tricipite brachiale il brumoso rivestimento del samurai offerto in sacrificio al crepuscolo, e al primo sole sovvissuto, di presto a ingannare il richiamo delle terre arse. Il Goemon di Takeshi Koike non usa indietrarsi alla battaglia. Sospeso fra l’isolamento interiore e la maniaca disciplina dell’acciaio il guerriero suona vendetta sull’acustico “Satori”, testo di Takumi Iwasaki, musiche di James Shimoji – quello che in Redline appiccava il fuoco – disponenti al medio-stoner di arpeggi e solismi à Lo chiamavano Trinità, cui è reso credito in un ilare convivio di cinghiali vivi presi a morsi da un tale uguale a Bud Spencer: citazionismo che è memorazione dei generi bravi a Rodriguez, di certi misconosciuti film da cassetta diretti da Lamberto Bava ai quali l’avant-garde dell’ultimo anarchismo si ispira, ché ci era un poco trasparso che la cinquantina di minuti di character design ultrarealistico e bidimensionale animazione non avesse detto a esaurienza sul Regista, scritto con l’erre maiuscola. Per discinderlo da tutti gli altri.












  Classificazione Film d’animazione
  Titolo originale Lupin the IIIrd: Chikemuri no Ishikawa Goemon - LUPIN THE IIIRD 血煙の石川五ェ門 -
  Provenienza Giappone
  Prima immissione 2017 / Cinema
  Produttore Telecom Animation Film / TMS Entertainment
  Regia Takeshi Koike
  Fotografia Jirō Tazawa
  Soggetto Yūya Takahashi
  Character design Takeshi Koike
  Mechanical design //
  Dir. animazione Takeshi Koike
  Compositore James Shimoji
  Sito produttore www.tms-e.co.jp
  Formato Blu-ray Disc
  Edizione Nord America [Discotek Media] - Italiana [Anime Factory]
  Anno edizione 2019 [Discotek Media] - 2021 [Anime Factory]
  Numero supporti 1
  Lingue JP / EN [Discotek Media] - IT / JP [Anime Factory]
  Sottotitoli EN [Discotek Media] - IT [Anime Factory]
  Rapporto 1.85:1
  Compatibilità Region A [Discotek Media] - Region B [Anime Factory]
  Durata 50 min
  Episodi 2
  Reperibilità Buona
  Prezzo 20 € circa [Discotek Media] - 44.99 € [Anime Factory]
  OST Sì [LUPIN THE IIIRD Chikemuri no Ishikawa Goemon Original Soundtrack, 2017, g.beat]

 

Dopo un breve passaggio cinematografico, occorso nell’aprile del 2017, Chikemuri no Ishikawa Goemon ottiene per il Giappone stampe in limited edition su DVD e Blu-ray. L’edizione nordamericana viene distribuita nel maggio del 2019 dalla Discotek, mentre in Francia è ancora Black Box a produrre in fisico, diversamente dal Regno Unito, dove il film è reso disponibile come esclusività del circuito streaming di Amazon. Non risulta al momento in lavorazione alcun versante italiano. [Update 20/10/2021] Nel corso del 2021, assicuratasi i diritti per l’Italia della intera trilogia, Anime Factory immette su Amazon Prime Video in edizioni doppiate e con sottotitoli. Lo stesso editore realizzerà su formati fisici, e in tiratura limitata a 1.000 copie, mediante box forniti di card e booklet.