È
come se “Magnetic Rose” voglia trainarsi i due altri mediometraggi
su di un che di decorazione settecentesca – sceneggiatura di Satoshi Kon, e abbiamo detto tutto – al passo di una statura epistemologica
verso cui, i suddetti, non potranno egualmente muovere; e in qualsiasi modo si
deve a questi riconoscere il consecutivo scritto, quanto una predisposizione a
incasellarvi il paradosso di carattere post-utopico/ucronico – Katsuhiro
Ôtomo,
e abbiamo detto tutto – entro certe scoloriture rugginose à la When
the Wind Blows (Jimmy T. Murakami, 1933 - 2014) nell’episodio “Cannon Fodder”,
l’ultimo dei tre. Da “Stink Bomb”, il capitolo due, commessa
politico/apocalittica di medio scanzonamento si sprigionano i fumi di un’arma biologica che uccide
all’istante. E si fa dispensa della migliore animazione
giapponese, valendosi di uno screenplay solidissimo,
che di suo non poteva arruolare interpreti di genere meglio allineati
alle devianze ultramoderne di Ôtomo, avendo il regista misurata la tecnica
illustrativa di Koji Morimoto in Robot Carnival, nonché accertato il curriculum
di animatore chiave di Tensai Okamura, che proprio in quell’anno veniva
chiamato da Gainax per dirigere alcuni episodi della serie TV di Neon Genesis
Evangelion.
Torniamo su “Magnetic Rose”. Distante spazio. La
risposta a una richiesta di S.O.S. è punto di accesso a un tunnel kubrickiano,
vaneggiamento olografico di signora che tramuta in un incubo allor che la
residua coscienza di costei penetra la mente degli astronauti, i quali
precipitano in un hack di ricordanze (e realtà sedative) che si
alternano ad asimmetrie dislocazionali, magnetismi, visioni di giardini in
fiore. Latenti in questa stazione fluttuante riconvertita a mausoleo di
lontanissimi plausi – i ricordi, appunto, di tale Eva Friedel – emergono
pensieri aberranti, fantocci-robot resi pensanti da un’intelligenza artificiale
operante tra le ombre di antichi marmi, per cui Morimoto mette in essere, al
setaccio del vuoto che vi è intorno, un’armonioso contrappunto riguardante
l’uomo e la sconfinatezza; la corruzione del primo, che si sovrappone agli
abissi di quest’ultima in una spirale di eterna non-vita, è atto inesorabile. In
“Stink Bomb”, cosa feroce travestita da commedia, le persone, i ministri, gli
antagonisti, i protagonisti vengono irrisi da un Okamura sguazzante; il regista
dimostra di trovarsi alquanto a suo agio in mezzo alle contraddizioni del
comportamento sociale, mettendo in scena una mascherata in cui l’essere umano medio risultasse insignito della responsabilità
capitale, qual è la salvaguardia di combinazioni biologiche
potenzialmente funeste, oltreché ridicolizzato dalle contromisure – altrettanto
mortifere – che il governo decidesse di assumere rispetto al contenimento
del virus.
Nell’episodio conclusivo vi era un’esigenza di
affondo. Che doveva esercitare Ôtomo col suo “Cannon Fodder”, pseudofuturo
comunista di vigente culto per la guerra; le persone procedono in fila e sembra
di assistere a una parata di cosacchi, salvoché per tecnologie a manopola e
sbuffi di fumo nero che intendono acclarare una situazione di commisurabile asfissia,
di coprifuoco, legge marziale, un’impossibilità di fuga che si
era osservata nel Brazil di Terry Gilliam: il gesto di ribellione
timidamente offerto da una lavoratrice nella declamazione d’intenti d’inizio
turno è nello stesso istante censurato dal buon senso della collega
istituzionalizzata, madre del bambino che in chiusura interroga il padre circa
chi si stesse davvero combattendo. Ma il nemico non si vede mai. La guerra per
finta, secondo deduzione linguistico-cinematografica, è la medesima che verrebbe
“declinata” a uno studio sul comportamento della società nei termini del totalitarismo burocratico, allorché quest’ultimo diventa il
mezzo di sommissione a onnipotenti e indivisibili dittature. Memories è
un’antologia tecnocentrica spostata sulla sterilizzatura dell’umanità
davanti alla forma sintetica, al ferro e alla “macchina”. La stesura grafica e
contestualmente lo stile di regia di ognuno dei soggetti animati proposti si
offriranno alla potenza del metro significante; tra le sequenze da evidenziare, il glitch
dell’astronauta sullo sfondo artificiale, gli alberi che fioriscono sui miasmi, il cannone che
risuona tra i cementi.