Riferire 
a proposito di quest’inconsueto cartonanimato di roboticismo qua era 
Nostro dovere particolare di sopravvissuti designati, nel dove insignimmo 
Katsuhiro Ôtomo dell’Ordine al Merito della Guerra Termonucleare Globale™ 
già quando che Robot Carnival esordisce con il suo circo di ballerine 
meccaniche, a insegnare alle persone a esercitare karakiri come da manuale, 
tra le sabbie paleolitiche inseguenti il Big Bang che si sarebbe visto dentro
Akira, 
il quale ha sempre ragione. Robot Carnival ammonisce, sinistro. Il capitolo 
incombente a Koji Morimoto (Franken’s Gears) introduce il desaturamento del 
grading e tale ibrido soggetto che è meglio se non si erge, ove mai di 
confacere a una semantica di sottile contraddizione per cui lo 
scienziato sacrifica la sua moralità – quanto la contingenza d’essere – a 
interesse di questa ricorrente idea di un super-ego che si autolegittimi nella 
stessa sua decadenza. Il film arretra ai movimenti dell’anti-tecnologia 
allora che lo spettro del progressivismo è paventato, sebbene si cede, 
atipicamente, a una deriva esoterista e di concettuale trasformismo.
Hidetoshi Ômori, episode director in 
Urusei Yatsura e protégé di Heiichi Yamamoto, ora che il regista di Belladonna lo seleziona per 
l’animazione di Odin: Starlight Mutiny nella metà degli anni ’80 dà origine a 
“Deprive”. Per invero intercettare connivenze nell’ordine di organismi 
“coscienti” uncinati ai semiconduttori: il “robotto” empatizza, è capace a 
disambiguare i suoi atomi a furia di altruismi, nelle secche di un riscatto 
biochimico che questi contempera da sua prima fabbricanza umanoide. 
Sostanzievole impiego 
di colori e pennelli per impasti di china se ancora “Presence”, l’episodio che 
interviene a giro, 
ovvero quello del Nostro Yasuomi Umetsu sospinge l’incisione dei caratteri 
animati dall’internegativo uno, in costanza di una maniaca iniezione di 
manualità dietro al culto dell’androide femminesco a carica, nella zona vacua 
dell’esistere che trova ristoro nel “sogno di lei”, caleidoscopico fantasma di 
ghiaccio. Hiroyuki Kitazume disegna e dirige “Star Light Angel” perché dice che 
ci aveva il mood di MTV dai giorni mitologici di Megazone 23 e Z Gundam, 
e a dire la verità si rileva esservi in forza di girato la briosa leggerezza di 
un “Take on Me”, o per anche un “Duel” in piacènza di pettinature multicotonate 
di frivole ragazzine bishōjo. Character design di luccichezza, disco pop 
a iosa e bollicine.
Di natura un filo meno rassicurante Manabu 
Ôhashi poi che distribuisce i cataclismi climatici monocromatici, sino poi a 
conto 
di questo corto che insinua testimoniare le storture di una civiltà regredente 
nel continuismo, se pure a metodo di gesta del meccano viaggiante, e non 
dell’uomo, così che a richiedere un interrigo di partecipazione fra creatore e 
creatura subroga, in una qual definitiva interposta razza che rivendicasse discorrere 
quanto assumere gli emicicli del tempo terrestre. Ci abbiamo in seguito un 
“Meiji Karakuri Bunmei Kitan: Kōmōjin Shūrai no Maki” dalle linee simmetriche. 
Immediatamente realizzi che è una cosa in cui è presente il Sadamoto imperiale 
di Honneamise, 
superfluo condurre un tour esplorativo tra i credits per vedere se è lui: è lui. 
Disegno meccanico incaricato a Mahiro Maeda, e abbiamo detto tutto. O quasi. 
Datochè la sobria regia di Kitakubo amministra alquanto stupendamente i temi 
dello svolgimento archeorobotico in legno negli ambiti degli attrezzi a ruota 
manovrati dai cannonieri, in atto di contro attacchi rinascimentali a media 
distanza e miagolii di signoretta che sembra che è reduce da un concerto dei 
Duran Duran. Vasta mobilitazione di talento tecnico. Ma “Chicken Man and Red 
Neck”, scritto e diretto da Takashi Nakamura, promette di scavare più a fondo. 
In una discarica di ferro nella quale il mostro-macchina raduna le sue milizie verso l’estraneo individuo che poteva essere stato 
il Creatore di tanto infernale e piramidale Carnevale Robotico, a volere 
infierire col manicomio della scienza in un surreale guazzabuglio di componenti 
di ricambio e industrie. Libero dell’arbitrio, l’insorto esercito dei replicanti 
dominerà il mondo. 
	
	