ROUJIN Z
di @Luca Abiusi

Assai più che un film da incasellare nella circoscrizione delle commediuole leggere in cui introdurre signorina capricciosa fru fru a rendere un tornaconto di frizzanteria, ragionando sul fatto che Ôtomo, noto elettricista, doveva prima finire di risolvere i problemi che aveva sottoposti alla Nostra cortese attenzione pressappoco verso il 1989, quando le macchine si coalizzarono ai tessuti e allorché il regista stava lì lì per terminare di rivedersi l’ultimo fotogramma dell’ultima sequenza di Akira, già iniziando ad accusare astinenza da fili rossi che si aggrovigliano a stritolare le carni e le ossa delle persone. Quel che è certo è che non poteva finire lì. Nel 1990 Roujin Z è un’opportunità di ulteriore studio sulla possibile sinergia tra organismi e macchine. Per la regia i produttori avevano scelto Hiroyuki Kitakubo, un volpone laureato con laude in elettricismo e adatto al ruolo, avendo in più di un’occasione affiancato Ôtomo e le sue saldature molto pericolose, rimanendone illeso. La collaborazione tende a funzionare talmente bene che si ottiene, durante visione, questo equilibrio formale che vede da un fronte armarsi la minaccia dei computer senzienti e dei cattivi che gli hanno dato forma e dall’altro lo schierarsi di buoni-stereotipo difensori della giustizia che non insultassero oltre il dovuto l’intelligenza del Maestro. Che, a scanso di equivoci, se ne andava in giro con un paio di pinze e una buona saldatrice.

Potrebbe essere che l’attrezzo computerizzato che doveva determinare l’autosufficienza del vecchietto, tra un’intrusione in ospedale e conseguenti scorrerie, diventi in verità una cosa di trasformazione che lancia i missili. Non poteva mancare l’auto-citazionismo verso la metamorfosi di Tetsuo, e neppure il ghiribizzo del dover mettere in mezzo Hal 9000, fintantoché Kubrick se ne stava su Eyes Wide Shot, così per non rischiare che l'affronto alle istituzioni venisse in qualche modo smascherato. Che affronto non è, se sai guardare meglio. L’uso della divagazione cinematografica è sottile. Nondimeno acuto nel dissipare le insidie di un eventuale recesso di confidenza nei confronti di preesistenti idee, a iniziare da Robot Carnival arrivando per Black Magic M-66, ma in ugual modo lucido a suggerire contingenze di coerenza sulla testualità portante, che quantunque di nuovo contrita all’imminente ecatombe tecnologica si fregia di potere attingere a una linea di colore tiepido con delega di non aggravamento del sottotesto. Che chiede di rimanere di tratteggio mistico sul defunto-bug repentinamente insorto in veste di voce digitalizzata rassicurante, nel mezzo di una masnada di rumorose comparsate di certo folclore giapponese rampante cui piace fare gli scherzoni, qualche gag di erotismo di passaggio così per vivacizzare l’ambiente e guardare al domani con rinnovata fiducia per i governanti, salvaguardie della madre patria.

Il film varrebbe il tempo speso. Gli si riconosce all’infuori dei summenzionati meriti il disinvolto cambiamento di cadenza del girato, fatto non di scarso conto nello standard della pellicola d’intrattenimento urbanistico in cui per assolvere il compito bastava che si disegnasse sfondi standard di palazzi e due pupazzi, e che si ritrovasse a raccordo di sequenze gli asfalti dei quartieri futuristici di Shinjuku-ku in un fermo immagine di media compensazione. Ma Roujin Z richiede il dispiegamento dei mezzi, poiché dobbiamo ricordarci che dietro al progetto c’era quello che aveva scritto quel film di motociclismo metafisico ambientato nel 2019 a cui non si poteva rispondere col compromesso del fotogramma statico persino a camera soprelevata, durante i segmenti aerei di colluttazione voyeur dove si realizza che hanno dovuto investire fior di denaro fresco giusto per fluidificare l’aggiornamento delle sottostanti strutture, interamente scalate a inchiostro per la tempestiva assenza di facilitazioni digitali; Roujin Z è la contromisura allo stress da sovraccarico di elettromagnetismo, un periodo di riflessione in cui percorrere strade alternative di guasconeria e componenti di giocosità, una situazione come piano bar in amicizia che però non deve per forza degenerare nella farsa, anzi: il finale, velatamente (e volutamente) ridicolo, avrebbe raccontato che i lavori non erano mai stati del tutto interrotti – ci verrebbe in mente Manie-Manie: I racconti del labirinto, cui Ôtomo vuole parametrarsi – e che presto, diciamo entro qualche anno, si sarebbe presentata l’occasione del ritorno alla fantascienza seria. Una storia steampunk...    












  Classificazione Film d’animazione
  Titolo originale Roujin Z - 老人Z -
  Provenienza Giappone
  Prima immissione 1991 / Cinema
  Produttore A.P.P.P. / The Television Inc. / Movic / TV Asahi / Sony Music Entertainment
  Regia Hiroyuki Kitakubo
  Fotografia ...?
  Soggetto Katsuhiro Ôtomo
  Character design Hisashi Eguchi
  Mechanical design Katsuhiro Ôtomo, Mitsuo Iso
  Dir. animazione Fumio Iida
  Compositore Bun Itakura
  Sito produttore appp.web.fc2.com
  Formato Blu-ray Disc
  Edizione Italiana [Kaze]
  Anno edizione 2012
  Numero supporti 1
  Lingue IT / JP / FR / DE / SP / EN
  Sottotitoli IT / FR / NL / DE / EN
  Rapporto 1.85:1
  Compatibilità Region B
  Durata 84 min
  Episodi //
  Reperibilità Bassa
  Prezzo 14 € circa
  OST Sì [Roujin-Z Soundtrack, 1991, Epic / Sony Records]

 

Sebbene la regia del film fosse inizialmente stata affidata a Ôtomo, questi dovette rinunciarvi a causa del protrarsi dei lavori su World Apartment Horror. Il regista, in ogni caso, farà in tempo a impugnare sceneggiatura e mechanical design addizionale. Roujin Z sancisce l’esordio nel campo dell’animazione di Satoshi Kon, che servirà come art designer. Tra il 1991 e il 1995 usciranno del film edizioni in VHS e Laserdisc, altresì in UK e Australia. Ancorché il film, in Europa, avesse a inizio 2000 già ottenuto più di una stampa in DVD, non vi sarebbe stata traccia di versioni italiane fino al 2012, anno in cui Kaze decide di localizzarlo – piuttosto bene, va detto – e renderlo in DVD e Blu-ray.