La
moto di Kaneda resiste: ecco, adesso è un monociclo tempestato d’ingranaggi che
si azionano a vapore, e vi è fornito un sistema meccanizzato antibloccaggio per
i pedali, ma il mezzo resta concettualmente
uguale all’idea di proiezione motorista che faceva i solchi sulle strade di Neo-Tokyo,
nella epoca del persistere di codesta nuova disciplina fantascientifica del cyberpunk.
Di nuovo si insinua lo spettro del cataclisma, per venire in soccorso ai rischi
che la conquista tecnologica significherebbe a misura di prevaricazione, poiché
«l’evoluzione», Ôtomo avvisa, «non è che il primo innesco della bomba»; Steamboy
percorre un cinema di profilo avventuroso ma dal respiro universale, in
suffragio d’implicazioni politiche condotte a zona di preludio se non
anche in forma
di sovraesposizione tecnica, perché venisse scatenato sull’oggetto filmico della
“retroscienza” un esteso pavimento in computer
grafica, dentro casa Ray Steam, al cambiamento di prospettiva tra i legni del
sottoscala, rotazione brutale; eppure quasi non sembra che il regista vi abbia
inserito cose tridimensionali, per una sequenza che risulta priva
d’interruzione, non che coerente al resto del girato.
Scritto e diretto dallo stesso Ôtomo mentre
che si elaborava i principi della termoidraulica, il
film caldeggia una visione in lingua originale da abbinare a
sottotitolatura
sin dopoché se ne riconoscesse il discreto lavoro di doppiaggio, ché
l’inapplicabilità del timbro acuto di certa delazione da guerra, conferibile
alla metrica giapponese, è fatto conclamato; si è opzionate luci di
tonalità “grigio-cenere” per un quarto di durata, a motivo di una
significativa fenditura del colore all’avvicinarsi dell’ozono, dove il grigio
diventa bianco, e nel momento che il nero si tinge di azzurro sul
marchingegno volante, che vi è
tutto un processo di avvicinamento a una sorta di espiazione della colpa in
questo XIX secolo alternativo, come del resto lo
era stato il 2019 di Akira
da che si avvisa rispondenza tra le linee temporali dei due film, ambidue
segnati dall’assunto del conseguimento scientifico che deve
irreversibilmente procedere fianco a fianco all’autosterminazione. E
no, il
motivo conduttore è tutt’altro che banale. Si manifesta secondo una
nobile intenzione di pacifismo, attraverso gli occhi del giovane
protagonista, che stoicamente si ribella, e con tutte le forze residue, al conflitto che incombe. E sì,
quest’Ôtomo critico e diretto non era esattamente
quanto le platee classe ’77 si aspettassero, avendo negli occhi ancora
stampati i deliri bio-meccanici di Tetsuo Shima.
Si scruta su schermo di un Katsuhiro Ôtomo
evidentemente splielberghiano. D’altronde gli attestati di stima tra i
due registi si erano susseguiti pure a limatura delle loro opere rispettive, e
difatti non sorprende di rilevare in Steamboy la cadenza del B-movie, nella sua
accezione più nevralgica, e un risvolto supereroistico che trae ascendente dalla
DC Comics degli anni ’30, da Superman, da una cultura antitetica a quella cui il
cineasta aveva attinto per gli inizi monotematici, e di seguito animati, financo a richiedere i
trionfalismi arcuati di Steve Jablonsky come rilievi di scenografia, suoni di
Filarmonica, slanci emotivi che trasformassero gli atti di spettacolosa
teatralità in fotogrammi da riferire al classicismo dell’animazione, non vedendo modo di ritrarsi alla propellenza che dal minuto 19:40 al
minuto 25:00 risolve su base prototipale, per finire col dire che il reattore a
pressione con cui Ray Steam si libra in volo provocando i sobbalzi si è già visto da
qualche parte, su History Channel o su dizionari che rimandavano al disegno
incompiuto di un macchinario risalente all’età vittoriana, da infanti, durante
l’ora di scienze; lasciandosi dietro le macerie di una umanità immeritevole
d’indulgenza, Steamboy si erge su di essa, ostinato, volgendo a generazioni che
dovranno ripartire dalla fallibilità dei padri, gli uomini che hanno dimenticato
cosa li aveva spinti di là della superficie, quando s’immaginavano il razzo
attraversare l’orizzonte, persuasi che mai su di loro ricadesse.