GHOST IN THE SHELL
di @Luca Abiusi

“Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo confuso.”...prima lettera ai Corinzi, 13:12

Sovviene visibile in Ghost in the Shell questa brama di dogmatismo apocrifo, che vorrebbe essere di postumanismo e stati di opalescenza, oltre che di liquefamento dei tessuti cellulari, così di consentire a presso e di controluce la stimolatura di un qual simbolismo da decompressione – della struttura bionica e del “ghost” nel residuo specchio, sequenza centrale del film – e scalfitura metafisica, sulle pareti del museo universale come radice del nuovo albero della creazione, a corrispondenza dell’epilogo; Masamune Shirow avrebbe fatto sapere che non era esattamente quel che si aspettava dall’anime, ma del resto deve averla pensata allo stesso modo la Takahashi, nell’84, giusto appena varcate le dimensioni di Urusei Yatsura: Beautiful Dreamer. Nel Ghost in the Shell di Mamoru Oshii la declassificazione della letteratura gibsoniana si dichiara secondo il superamento della linea distanziale della carne; il prossimo ciclo dell’evoluzione, sicché, potrebbe quindi consistere nell’etere sintetico della comunicazione globale, e determinarsi a flusso autocosciente in grado di travalicare lo spazio.  

Poi la fluenza. Dell’animazione a tempera, anche se onestamente spetta alla prosa illuminante, angolare, la destituzione del lungometraggio di settore nonché l’accosto, di rimando, alle teorie esistenzialiste di Kierkegaard, nel nome della “libera scelta” e sulla scorta dello scientismo selettivo, acceleranti di un profilo genetico “superiore” che non sia congenito ma bensì composito e predisposto all’incubazione del soffio vitale; affrancatosi del suo involucro, l’uomo potrà così diventare onnisciente (e onnipresente). Grava per cui, sul maggiore Kusanagi, la responsabilità del passo ulteriore compiuto verso la “supervivenza” dello spirito. E occorrerà contaminarsi a entità prossimali procreate da un dio cibernetico e misericordioso, voce esteriore che vuole scomporsi e in seguito diffondersi dietro un meccanismo di catalisi fulminante, per avvicinare mediante-ibrido l’utopia (biblica) del gene sempiterno: tutta la parte centrale dispiegante il manifesto del “burattinaio”, che indurrebbe una digressione parallela su intricate cospirazioni fantapolitiche – e che Oshii avrebbe incaricato a Jin-Roh: Uomini e lupi – succede al poliziesco dei fucili a calibratura automatica e le mimetizzazioni termo-ottiche con aggregati slow motion da guardarsi due o tre volte, alfine indulgendo alle sorgenti estetiche di Okiura (Akira, Metropolis, Patlabor e lo stesso Jin-Roh) a fluidificanti dell’austerità del parlato. Il salto multivocale, necessario, è altresì di mediazione. Ci si piega al discerinmento allorché condizionati da uno sfondo di pioggia e grigiore, quando tutt’intorno il tempo riduce il suo corso, e le persone si trasformano in manichini.

Accertate di Mamoru Oshii le idiosincrasie rispetto ai cardini più ecumenistici della civilizzazione, individuabili da che il regista si cimentava nelle storielle surrealiste dello Studio Pierrot, servirebbe di scendere a patti con i fondamenti del trasferimento metareferenziale, e per così dire assumere posizioni che si prestino a sostenere ipotizzabili nuovi contesti, macchinazioni attraverso lo schermo, riscontri teorici in appendice dell’opera di riferimento e in qualsìa forma restituenti a quest’ultima una derivabile rinascenza, ché l’audace contributo di Oshii al processo di traduzione si rivela nell’asporto delle eccedenze esplicative, benché preservando del cartaceo il causticismo e le calligrafie, tutt’altro che estranei all’effusione delle trame del futuro pronosticabile, quanto dei suoi paradossi sistemici consistenti nella sostituzione dei ricordi, a termine di annichilimento delle illusioni, per una umanità che irreversibilmente abbandonasse la sua essenza a vantaggio di duplicati in composto artificiale usa e getta, sempre di non potersi permettere un regime di periodica manutenzione. Di Kazunori Itô – esimio sceneggiatore per Urusei Yatsura, Orange Road e Patlabor 2: The Movie – si promuove la sintassi. Eppure il regista propende di restarsene entro i suoi invarcabili margini, e di risolvere per le sequenze chiave che si era conservate in ordine di apparizione cronologica da spaccare il millisecondo in due, perché sue dovevano performarsi le sommità, e di sua responsabilità doveva diventare il disegno traslucido, slanciato di visuale distorcente e assolutissima verniciatura che ridesta l’iride in situazione di estinta luminescenza, traslocando dal bianco latte al blu notte, denudando i corpi, deturpando i corpi. Da profani osservatori, ci si astenga. Si guardi al film identificandone il grado di separazione dai riquadri del neo-cyberpunk, e s’incominci a preconizzare l’avvento di classi autarchiche e ubiquescenti.      













  Classificazione Film d’animazione
  Titolo originale Kōkaku Kidōtai - 攻殻機動隊 -
  Provenienza Giappone
  Prima immissione 1995 / Cinema
  Produttore Production I.G / Kodansha / Bandai Visual / Manga Entertainment
  Regia Mamoru Oshii
  Fotografia Hisao Shirai
  Soggetto Masamune Shirow, Kazunori Itō
  Character design Hiroyuki Okiura
  Mechanical design Shōji Kawamori
  Dir. animazione Mizuho Nishikubo
  Compositore Kenji Kawai
  Sito produttore www.production-ig.co.jp
  Formato Blu-ray Disc
  Edizione Italiana [Dynit]
  Anno edizione 2012
  Numero supporti 1
  Lingue JP / IT
  Sottotitoli IT
  Rapporto 1.78:1
  Compatibilità Region B
  Durata 85 min
  Episodi //
  Reperibilità Buona
  Prezzo 11 € circa
  OST Sì [GHOST IN THE SHELL Original Soundtrack, 2017, We Release Wtf We Want]

 

Il film, riduzione dell’omonimo manga di Masamune Shirow serializzato su “Young Magazine” a partire dal 1989, viene presentato in anteprima al Tokyo International Film Festival nell’ottobre del 1995, per venire ufficialmente reso ai circuiti cinematografici giapponesi nel novembre dello stesso anno. Al processo produttivo prendono parte Kodansha, Bandai Visual e Manga Entertainment, la quale si sarebbe occupata della distribuzione internazionale del film nei suoi versanti “home video”. Quindi, nel 1996, versioni in VHS e Laserdisc di Ghost in the Shell vengono prodotte in simultaneo in Europa, Giappone e Nord America. L’anno seguente Sony Computer Entertainment commissiona a Production I.G un adattamento videoludico dell’anime per sistemi PlayStation. Nel 1998, una prima edizione del film in formato DVD, con audio e video restaurati, viene distribuita in USA da Anchor Bay Entertainment. In italia, il DVD Panini Video prodotto nel 2005 avrebbe riconfermato il doppiaggio (imperfetto) realizzato da Polygram Video per la precedente edizione VHS. Ciò nondimeno, in occasione dell’uscita del Blu-ray prodotto da Dynit nel 2012, si è provveduto a un nuovo e più coerente adattamento. Di Ghost in the Shell esiste una versione alternativa del 2008 (Ghost in the Shell 2.0, supervisionata dallo stesso Oshii) che introduce nuove sequenze animate in CG. Visti i cambiamenti apportati in fase di sceneggiatura, il live action del 2017 diretto da Rupert Sanders, seppure graficamente accostabile all’anime, non può esserne considerato diretta trasposizione.