GHOST IN THE SHELL 2: Innocence
di @Luca Abiusi

Il prerequisito della trasmissibilità genetica indiretta viene risolto con largo anticipo dallo screenplay d’impenetrabile granito, escludendo anche le verità induttive che competeranno il ritorno, vagamente teocentrico, del maggiore Kusanagi. E verranno egualmente continuate le teorie con cui il prequel si ritrasse dai sentieri della intelligenza artificiale in soluzione di policarbonati e tessuti compensativi, giacché l’uomo, salvo d’intenzioni, si troverà condannato a commutare in dote biologica qualunque sua azione proferibile all’espandibilità (e alla condivisione) del patrimonio menemonico acquisito, riguardasse questo gli sconfinati quartieri di super palazzi – come moduli aggiuntivi di Ram esterna – o che si parli di visori olografici e di banche dati analogiche o digitali da impiantare (o erigere) sulle matrici dell’interlegere. L’autodeterminazione, criminosa, di un esercito di “sexoidi” che decide di cessare di essere consegue il fallimento dell’innesto periferico e seriale dello «spirito», visto l’istinto di negazione che l’organismo ospite svilupperà sotto forma di “anticorpo dell’anima”. È la struttura del ricordo, mancante nel ginoide al silicone ma presente nel cyborg Batou, anello di giuntura tra carne e macchina, a rendere in qualche modo l’accettazione della essenza di sé.

Si discorre altrimenti, in Innocence, non solo di tecnocrazia e surrogati che intendono prendere il posto di quel che rimane della manovalanza umanoide depotenziata. L’aria è irrespirabile, e si sapeva. E vengono costruite automobili che assumano scocca di cimeli anni ’50 per esercitare il contrasto col morente cielo arancione scrutabile dal finestrino, sfondo costante, castrante irreversibile ma il film, trasversale, rovescia nell’austera eviscerazione sin da che si manifestano i primi sintomi dell’insofferenza che Oshii reca nei confronti dell’umanità indistinta, stirpe di organismi che si macchia della presunzione di sostituirsi a Dio, che è il dio medesimo del sottogenere alimentato a micro-combustione atomica dal cui metabolismo a nano cellule si dovranno scandagliare e poi recidere le barriere circoscriventi le vastità reticolari, le connessioni infinite oltre l’umano, oltre le macchine; una volta ancora si tenta di agire sul noir investigativo a base complottista con l’idea di contenere l’invasività del messaggio proveniente dalla instabile postazione di regia, dacché quasi Oshii ricusa la centralità funzionale di cinepresa e direzione artistica, quand’anche a ricadere nel grandangolo di un paio d’inquadrature oltre cui tradirsi di codice identificativo e numero di previdenza sociale, assumendosi il rischio dell’ingerenza del soliloquio sull’affiche esteriore e bypassando di netto le semplificazioni del gesto animato.

Facendo capo ai suoi deputati sintetici, la sostanza biologica potrà infine ritrovarsi. E sopravvivere. E ciò malgrado si leva con rinnovata decisione il quesito sulla disperdibile riconoscibilità cognitiva, che non può ridursi al mastice antiscientifico della frenologia ma di converso evolvere in una stadiazione asimmetrica, subatomica, similmente mistica discorrendo sulle maschere atterrenti del “carnevale” in 3D silicon graphics artefatto e deistico, qual è il ritratto divino di un Buddha, una effigie al cui cospetto sacrificare il retaggio della scienza che non detiene risposta. È fuori dubbio l’occasionale ricalco dei convincimenti e degli assilli che il regista mira ad assecondare nel merito della subornazione della robotica, oggetto di controversia fin da quando gli erano stati commissionati i due film cinematografici di Patlabor, e di certo manca a Innocence la manualità del suo predecessore disegnato a celle da milleuno dettagli che sembrano moltiplicarsi quanto i bacilli, ché a inizio 2000 si stava nella fase dell’aggressione al rendering tridimensionale e riusciva difficile di venire traviati dal ray tracing di qualche mezzo di trasporto fluttuante o dai frammenti del vetrame, e si doveva giustamente riprodurre modelli anatomici full body che servissero da orientamento per il successivo Ghost in the Shell 2.0. Il film dimostra una personalità lacerante. Vi è di che fuoriuscire discretamente lividi dal reset del cerebro e del tempo, che si riavvia in loop – autocitazione colta – e non sai dove ti trovi fino al segmento finale guerresco e in una certa misura inatteso, nell’attesa del fotogramma degli occhi della bambola, che prelude alla dissolvenza.    












  Classificazione Film d’animazione
  Titolo originale Innocence - イノセンス -
  Provenienza Giappone
  Prima immissione 2004 / Cinema
  Produttore Production I.G / Studio Ghibli
  Regia Mamoru Oshii
  Fotografia Miki Sakuma
  Soggetto Mamoru Oshii
  Character design Hiroyuki Okiura
  Mechanical design Atsushi Takeuchi
  Dir. animazione Hiroyuki Okiura
  Compositore Kenji Kawai
  Sito produttore www.production-ig.co.jp
  Formato Blu-ray Disc
  Edizione Italiana [Dynit]
  Anno edizione 2012
  Numero supporti 1
  Lingue JP / IT
  Sottotitoli IT
  Rapporto 1.85:1
  Compatibilità Region B
  Durata 100 min
  Episodi //
  Reperibilità Buona
  Prezzo 11 € circa
  OST Sì [Ghost in the Shell 2: Innocence Original Movie Soundtrack, 2005, Bandai Ent.]

 

Durante la fase di produzione, dovendo far fronte a costi di sviluppo che avevano ormai superato i venti milioni di dollari, Production I.G stringe una partnership strategica con lo Studio Ghibli. Il film sarebbe uscito in Giappone nel marzo del 2004, concorrendo qualche mese dopo al Festival di Cannes; nel 2006, in Italia, viene distribuito per il cinema e in versione DVD da Eagle Pictures col diverso titolo “Ghost in the Shell - L’attacco dei cyborg”. Una nuova titolatura più conforme all’originale – Ghost in the Shell 2: Innocence – verrà nel 2012 opzionata da Dynit dopoché quest’ultima ebbe acquisito del film il rinnovo di licenza per l’home video in DVD e Blu-ray.