PULSTAR di @Luca
Abiusi
Contrariamente a quanto si sia
portati a pensare lo sparatutto è un fatto politico. Fior di dottrine
socio-umanistiche, che hanno riscontro negli strati più superficiali della cultura (e
della sottocultura) di una determinata zona geografica – il Giappone, quindi
– mettono in
luce l’avvilimento del dopoguerra, i postumi della disfatta di una nazione. Pulstar
racchiude nel suo cuore siliceo il vangelo dello sparatutto moderno e la genesi
di una schiera di videogiochi che ha contribuito ad accertare i postumi della guerra
fredda: il parallelismo con R-Type accorre naturale affinché tenga banco il
credo di una generazione di giapponesi lobotomizzati assolutamente rannicchiata su sé
stessa, frustrata dal fatto di non poter più invadere la Manciuria. Non resta che
ripiegare nella fantascienza di Pulstar, che è lo shoot ’em up per
identificazione del genere, un titolo piuttosto rudimentale che però amplifica le idee
della Irem degli anni Ottanta attraverso la brutale potenza bidimensionale del
NEO GEO.
Anno Domini 1995: la opera di sigla Aicom si colloca nella area di transito tra il
risorgimento dello sparatore orizzontale e l’instaurazione della tridimensione come atto
di revisione del videogioco classico.
Pulstar è quanto di meglio lo scenario degli shoot
’em
up fosse in grado di apportare al periodo di saturazione del 2D. Sicché arroccato
nel suo costruire renderizzazioni da un chilo l’una lo sparatutto della Aicom scala
le vette del romanticismo orizzontale inserendovi a ogni modo lo stereotipo riferibile,
dacché si impone il beam forgiato da Irem, e vi sono i mostroni biologici che
occupano per intero lo schermo, e persiste la sensazione di agglomerazione secondo cui il
display deve riempirsi di proiettili e forme aliene in creazione di una azione dinamica e
violenta. Il comparto estetico è assolutamente solido e d’alta scuola ritornano le
grafiche, le animazioni: navi madre, detriti, proiettili, detriti, proiettili, navi madre,
giganti in titanio e cannoni in titanio creano lo stylish dello sparare anni
Novanta, in questo spazio di spazi eleganti, e già s’avverte la grande tecnica nella
presentazione spettacolosa in FMV, con ragazze in uniformi aderenti e astronavi poligonali
in ambienti cyberpunk che reclamano apocalisse. Il parallasse esasperato degli
sfondi sancisce la amalgamazione tra strutture in pre-rendering e sprite semplici, e
centinaia sono i fotogrammi che s’addensano in questo quadro simil-bidimensionale pesante
due chili. È possibile individuare a vista i propulsori delle navi e delle basi che
sparano, i congegni aerodinamici delle astromobili, le viscere pulsanti dei biomostri di
fine livello e le trasformazioni di un piano parallelo che sembra sussistere
autonomamente. Qualche mese più tardi il Team17 avrebbe ripreso lo stile Aicom e generato
X2.
Pulstar è uno shooter
tradizionale. Se mai vi è stato esemplare che portasse a sé una intera
branca del videogioco, Pulstar ne manifesta i requisiti: la meccanica di
sparo, la ellittica degli spostamenti, la formazione dei nemici, la
infrastruttura dei tempi di impatto, la progressione sul livello, la
strategia di attacco ai boss e la distruzione arbitraria che ne deriva
spinge l’utente a chiedersi se davvero il titolo Aicom realizzi qualcosa in
più rispetto a qualsiasi altro sparatutto di concezione nipponica. Qualcosa
in più che viene fuori dopo aver consumato discrete ore (e anche un bel po’
di gettoni) sull’altare di un gameplay che acquista sostanza in simmetria
col metodo di annullamento e col sistema di upgrade di un satellite frontale
che non si stacca, ma che però rispetto ad R-Type
dispone una barriera portante di maggiore copertura. Quindi la power meter
sottostante seziona lo sparo in due barre a latenza che misurano il reflusso dei colpi
–
porzione di sinistra: più alta è la frequenza di sparo, maggiore sarà il
numero dei proiettili
espulsi dalla nave – e il caricamento del beam – sezione di destra: tieni premuto
e vai di fascio frontale – per sofisticare il level design oltre le aspettative
delle umanità medie, che in quell’epoca di transizione di certo non potevano
meritarsi di meglio di un qualcosa cui si dichiarasse guerra agli universi,
e si uccidesse come al tempo della Irem. Aicom dona alle masse una
opera di riscrittura del classicismo fantascientifico per sale giochi e decide che il
videogioco a base di fine del mondo ha ancora motivo d’esistere sul sentiero della
manipolazione della tradizione delle culture d’avanzo degli anni Ottanta.


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