R-TYPE di @Luca
Abiusi
È abitudine
di riferirsi ad
R-Type un po’ sempre quando viene tirato in mezzo lo shooter
giapponese orizzontale ad armamento indipendente dove sull’estremità di capsule
R-9 sia applicato un pod magnetico capace di assorbire i colpi avversari e
all’occorrenza di sganciarsi, per attaccare in fase diretta i nemici e mandare a
frantoio le stazioni dei missili intelligenti.
Graficamente è allavanguardia, per i tempi, R-Type; propone effetti
bidimensionali di spessore oltre che un gameplay malsano che definiremmo eccelso, che
può essere
cattivo solo in superficie e che esercita il meglio nel progredire dei livelli
dispensando arte nell’ottimo sistema di iperpotenziamento della nave spaziale. Il
virtuosismo grafico è del design dei mostri. Dettagliati e impressionanti all’atto
dell’animazione, questi organismi sono sontuosi, determinano la fantascienza innovativa
della Irem: un cuore gigante espelle serpenti dai ventricoli, un clone gigante di
Alien smuove la coda come una frusta, una astronave gigante si trasforma in livello
semovente sparando razzi da ogni pertugio.
La guerra interstellare che R-Type simula
a video deve rivendicare i canoni dello sparatutto bidimensionale di quel periodo; pur
senza scadere nella banalizzazione, il graduale citazionismo grafico verso
Nemesis
o lo stesso Delta è palese. Ora, che il
Delta di Stavros Fasoulas non
avesse in effetti alcun pod rotante, essendo la nave stessa a ruotare, e che la
fantascienza di Gradius si distanziasse abbastanza
da R-Type è fuori
discussione. Tuttavia la opera Irem sa come e dove attingere, in piccole dosi, muovendosi
in contemplazione, ostentando continue le intuizioni sul level design
dello sparatutto orizzontale dinamico, concedendosi il lusso di metaforizzare sullo shooter
nipponico come parallelo di una sottocultura social-belligerante che ripiega le
frustrazioni del dopoguerra nella narrativa spaziale di genere. Nello stesso anno la nuova
console della Nec, il PC Engine, avrebbe esportato il concetto di sparo
iremiano
a mezzo di una conversione indimenticabile.
Realisticamente, arrischiare il gettone allo
sparante della Irem vuol dire anche avvicinare l’impresa. Le meccaniche, le
dinamiche, i principi di spostamento e la resistenza nemica realizzano quel
concentrato di assolutismo progressivo (e progressista) di schermi
sistemici, embrionali, dove il prototipo
di videogioco arcade anni ’80 ricade nella ridondanza della visione
accademica per incidere solo marginalmente sulla variabile della
sopravvivenza. Malgrado rudimentale, per
quanto scolastico, lo shooter della Irem reclama quadro su quadro una sua
dignità infrastrutturale in richiamo al videogioco classico per affermazione, definizione
delle caratteristiche fondamentali dell’upgrade; la rivoluzione satellitare del
marchingegno anteriore simboleggia, ancora, una intera generazione di videogiochi hardcore
imponendosi alle comunità contemporanee come impulso elettronico che richiami al Trionfo
Della Volontà del Giappone che vuole sparare. Il Giappone migliore. Ci
si esprime in favore di un tipo di
gameplay potenzialmente oggettivo, ma che pur nel suo rigido microcosmo
arcade deleghi al giocatore stesso la facoltà di scoprire la via di
traversamento delle zone più aspre di un qualche livello, del sesto livello,
e nel puro esercizio di aggiramento del pattern. Assai difficile in situazioni
di scarsezza di arsenali, poiché se si perdono pod e armi aggiuntive si può anche dire
addio alla baracca volante, R-Type uccide. Vi è da dire che grazie all’adattamento postumo per
PlayStation (R-Types)
verrà introdotto un sistema di salvataggio della posizione proprio per facilitare
l’esistenza dei manovranti più in erba.


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